scritta bianca 'a fine tunnel' sfondo verde con teschietti immagini di panni stesi e di una di lampada a forma di papera in dissolvenza sullo sfondo scritta 'a fine tunnel', in corsivo
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GUarDo Le stELLE Mi soNo rimASte soLo quelle.
---{ lunedì, maggio 11, 2009 }---

“Vado! Non mi piace questa canzone!”
“Quale canzone?”
“Quella che sento da dentro il locale mentre noi siamo qua fuori a goderci il fresco. Vado!”
“Ma se si riesce a percepirla appena! Stai male.”
“Sì.”

White Town, “Your Woman”. Ormai dimenticata, come avviene nel destino delle hit one-hit-wonder, aveva raggiunto la vetta delle classifiche inglesi proprio in quell’estate nefasta. Aveva un video in bianco e nero, una fotografia curata che inscenava con modalità da film muto un percorso di vita femminile e ha fatto da colonna sonora inconsapevole al momento più drammatico. Per la verità il ricordo completo comprende anche due infermiere appoggiate specularmente agli stipiti della porta di terapia intensiva come le sfingi della Storia infinita. Parlottavano amabilmente non proprio sottovoce di ricette di cucina mentre io ero intenta a calzare le foderine sterili con lentezza e delicatezza esasperanti, nel tentativo di mantenere disperatamente il più a lungo possibile quel momento di calma sospesa nella fissità dell’aria dell’occhio del ciclone.

Dentro la stanza quieta, tra un lampo e un tuono che si disegnavano fuori dalla finestra ,“Your Woman” entrava nella storia, nella mia storia, nel modo peggiore possibile. Trasmessa in lontananza da una radiolina era l’unico elemento che scandiva il tempo altrimenti immobile. Quanto mi sarebbe piaciuto che quel frammento di vita fosse rimasto congelato; non pretendevo che si tornasse indietro, ma almeno che accadesse un semi-miracolo per lasciare tutto così com’era con me con la testa fra le mani a fissare le fughe del pavimento sentendo a ogni sospiro profondo il sollievo della speranza che s’infondeva tra i presenti. Quella canzone insulsa, circolare e apparentemente innocua era invece l’unico elemento che mi stava ricordando con insistenza delicata quanto avrei sofferto di lì a pochi istanti.

In quell’anno, dopo i fattacci, digerivo con misura e rassegnazione il trauma. Poche uscite controllate di notte guidando in solitaria alla ricerca del mare. Era fondamentale evitare con cura l’ascolto di quella canzone attraverso lo zapping o spegnendo tempestivamente la radio.

Ieri sera invece quando un dj in una sala lontana ha mandato questo brano, magari compiacendosi con se stesso per la chicca dissepolta dalle sabbie del tempo, non sono riuscita a schivarlo. A tradimento mi sono trovata costretta a riassaporare in lontananza il suo ritornello catchy. Risentirlo nella sua interezza dopo anni mi ha letteralmente segato le gambe. D’altro canto cosa potevo fare? Fuggire? Come avrei potuto giustificare una fuga improvvisa? Però l’ho fatto. Appena a casa, ho scritto.

“Vado! Non mi piace questa canzone!”
“Quale canzone?”
“Quella che sento da dentro il locale mentre noi siamo qua fuori a goderci il fresco. Vado!”
“Ma se si riesce a percepirla appena! Stai male.”
“Sì.”

posted by milo @ 10:54 PM

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