scritta bianca 'a fine tunnel' sfondo verde con teschietti immagini di panni stesi e di una di lampada a forma di papera in dissolvenza sullo sfondo scritta 'a fine tunnel', in corsivo
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GUarDo Le stELLE Mi soNo rimASte soLo quelle.
---{ mercoledì, marzo 11, 2009 }---

{Cogito ergo boom}
{Penso quindi smono}

Come a quel mio primo concerto serio.

Spostando leggermente la testa , facendo tap tap sulla sua spalla, mia sorella si sarebbe chinata nella mia direzione e avrebbe raccolto circa 16 anni fa il mio commento annoiato e veloce, enfatizzato da un umph e braccia improvvisamente conserte: “IO con la musica non ci avrò MAI nulla a che fare!”.

I fatti che seguirono quel concerto d’estate inoltrata smentirono in modo sbarazzino e meraviglioso quella dichiarazione, tantoché essa sta ancora riecheggiando nei medesimi luoghi in cui fu pronunciata con lo stesso effetto di sleale senno di poi della frase di uno dei due Lumiere: “Il cinema è un'invenzione senza futuro”.

Dopo anni in cui la musica ha avuto MOLTO a che fare con ME e mi rende tutt’ora capace di monotematicità inconsapevole, eccomi di nuovo a sentirmi così addentro a un’esperienza nuova.

Un secondo concerto non da bambini, ma per grandi: applaudo quando applaudono gli altri.

Una mano scosta la tenda del piccolo sipario. Il legno chiaro intorno, i bisbigli composti, le poche figure in piedi, solo teste e gambe. Valuto quante gambe sono vestite con mise da grande soirée e quante teste hanno optato invece per un semplice casual. Cerco indizi su come va vissuta la serata che si sta per aprire.

Appare come se si fosse appena svegliato, entra dalla tenda rossa scostata mentre le luci leggermente si abbassano, e accenna un inchino strano e studiato sovrapponendo le mani distese come se volesse fare l’esercizio del tocco della punta dei piedi fermandosi però alle ginocchia. Quando si siede ci mostra la tanta normalità della sua esperienza. Nella tasca laterale si intuisce attraverso la stoffa la sagoma di un portafoglio gonfio. Al polso sinistro ha un orologio di plasticona blu puffo che ogni tanto aggiusta con un rapido gesto.

Inizia a suonare. Le scarpe seguono la forma della pedaliera, i cuoi nella parte centrale della tomaia si piegano in modo innaturale: lo immagino nel salotto di casa sua che suona per anni con la pianta salda a terra e le punte a comandare i pedali, la moglie che rassetta e sposta vasi di fiori di foggia neoclassica, affacciandosi velocemente nella cornice degli stipiti della porta per brontolargli contro perché sta rovinando tutte le scarpe. Forse non è sposato.

Mancano le percussioni, il ronzio di un ampli acceso, la polvere perenne che si deposita sugli strumenti. Non riesco a scattare foto mentali delle sagome nei chiaroscuri di un palco. Avanti così per più di un’ora.

Osservare le sue mani in professionale movimento crea l’esperienza gradevole. Mi chedo se non avessi avuto quella prospettiva se l’esperienza si sarebbe creata bene lo stesso. Le mani effettivamente volteggiano sulla tastiera, ipnotiche proprio come nelle sonate descritte in narrativa. Ma non mi basta. Incrociano poco, ci si aspetta ricami di metri quadri e invece ci sono solo accenni sonori di trame e orditi.

Vorrei elementi per capire se vale la pena ricordare i gesti per come sono e creare una cornice per sapere fino a che punto possono muovere le sensazioni. Assaporarle entro determinati confini di analisi le conserverebbe utili.

Mi lascio così coccolare dalla noia di alcuni passaggi di uno dei più grandi pianisti a livello internazionale.

posted by milo @ 2:04 PM

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