scritta bianca 'a fine tunnel' sfondo verde con teschietti immagini di panni stesi e di una di lampada a forma di papera in dissolvenza sullo sfondo scritta 'a fine tunnel', in corsivo
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GUarDo Le stELLE Mi soNo rimASte soLo quelle.
---{ sabato, ottobre 11, 2008 }---

{Hall of Meat}

Il ricordo da sfumato si fa presente grazie ad una bella canzone dell’ultimo disco di Ben Folds. Mi è stato suggerito di dare un’occhiata al testo di Hiroshima: parla di Ben che si schianta sul palco, si procura un bel bernoccolo, tutti lo guardano, inizia a comporre una canzone sull’accaduto.

È un flashback istantaneo quello che arriva.

Un invito inaspettato. Giungo a destinazione ubriaca di efficienza, talmente ubriaca da combinare disastri. Quei disastri che di solito nella mente degli sceneggiatori statunitensi servono come escamotage per introdurre la protagonista. La sua sbadataggine serve per catturare il pubblico; è così adorabile nelle sue vesti di combina guai recidiva che alla fine il quarterback di turno se ne innamora perdutamente. Funzioni di Propp, non vita reale.

Dicevamo. È una bella serata, si sorseggia una birra nel post-concerto tra punti di domanda e aspettative non ancora disattese. Come al solito in questi casi decérebro me stessa, mentre il mio giudizio interiore si fa loquace e più severo del solito. In questo clima di incertezza do del mio meglio. Detto con tono ironico, ovviamente. A fine serata devo recuperare il mio zaino viaggiatore dal vano portabagagli di una macchina e gettarlo in un’altra. Esco nel cortile buio, mi avvio lentamente nel parcheggio facendo attenzione alle pozzanghere e giocherellando con le chiavi con uno stato d’animo distratto, né più né meno di quanto sono stata distratta nel passato pomeriggio. Penso un po’ alla mia sfiga simpatica, alla guarnizione di una caffettiera che ha fatto le spese di queste circostanze, al suo proprietario che inscena goffi tira e molla con me. Recupero pigramente lo zaino, apro immediatamente il vano dell’auto di fianco. Sono contigue le due auto, decido perciò di risolvere il trasferimento in un passaggio unico. Prelevo da una lo zaino un po’ pesante, lo afferro per una bretella, lo tiro fuori e lo indirizzo verso l’altra auto. Lascio che la spalla segua il movimento all’indietro, richiamo con i muscoli lo slancio in avanti e lascio che braccia e torso in rotazione scaraventino la borsa nel secondo portabagagli, non badando al volo brusco che le sto facendo fare.

Solo che: croc. Non ho mai capito bene come sia successo, ma la mia testa nella parte finale del movimento plana con tutta la forza dinamica sul gancio della chiusura del portellone, o viceversa un gancio affamato di sangue plana sul mio cranio per cibarsi del mio cervello. La mia notte risuona con un croc spaventoso al centro della testa, una nuova fontanella si schiude nella sua delicatezza fisiologica come nella testa bambini piccoli. Sul gancio mi prendo una botta fina e infinita, densa ed elaborata. Prima di sentirlo nel punto dell’impatto, quel croc da sala settoria lo sento dentro il palato e in tutta quella zona inaccessibile che sta dietro il naso e sopra il palato, irradiando stilettate che raggiungono le rotule con la chiara intenzione di disinnescarle per farmi crollare a terra esanime.

Croc, dunque. Il cuore però accelera invece di fermarsi, permettendomi di scomporre quasi razionalmente il dolore, di pensare che sto svenendo/morendo per un motivo proprio stupido e per di più con la faccia in una pozzanghera di una città che non è la mia. Mi aggrappo a questa constatazione melmosa e so che ce la posso fare perché sono da sola, perché nessuno mi ha visto. Posso gestire il dramma con i miei tempi e non con quelli del panico. Rapidamente il croc lascia il posto ad un fiiiii interiore ugualmente preoccupante, però il peggio sembra passato.

Ribalto la testa sentendo la botta che si sposta anch’essa all’indietro. Guardo le stelline negli spazi lasciati dalle nuvole scure, provo a distinguerle dalle traveggole cangianti. Un po’ di pioggia in faccia mi fa bene. Sotto l’acqua il mio dolore può ora scemare, tanto più che nessuno potrà mai venire a conoscenza del mio gesto maldestro. Cinque minuti così, immobile, qualche brivido, le tempie che rattrappiscono. Non mi azzardo a tastare il presunto buco al centro del cranio per valutare i danni. Il fiiiii lentamente si attenua, la porzione di dolore insopportabile sparisce. Rimangono solo quella sopportabile, le automobili da richiudere, il cappuccio della felpa da mettere in testa per non far vedere che sono rimasta 5 minuti o forse più sotto la pioggia. Con rinnovata stabilità, lo sguardo basso e il cappuccio in testa a coprirmi l’attaccatura dei capelli rientro nell’area concerto. Mi siedo, con la luce artificiale la visione puntinata si attenua: bisogna dissimulare il più possibile. Resistere (x3).

Con il fiiiii flebile che mi accompagna raggiungo N. e il gruppo di ragazzi tedeschi che hanno appena finito di suonare e che discutono in cerchio a voce bassa delle loro impressioni sul tour italiano. Mi unisco al gruppetto, sorrido da dentro la felpa, educati mi lasciano ascoltare il prosieguo della conversazione sorridendo un poco anche loro. Da non crederci: tutto sta tornando alla normalità e anche il fiiiii che sento forse ha solo a che fare con i volumi del concerto. Mi sento ancora delicata nei movimenti. E piccola, con le lacrime e la notte in tasca. Ma d’un tratto è come se piovesse di nuovo sotto il cappuccio. Una sensazione di fresco che in pochi istanti raggiunge contemporaneamente nuca e orecchie. Non faccio neppure in tempo a pensare di scappare, scappare il più lontano possibile perché non ci vuole molto a capire che quel terzo rivolo veloce che sta colando al centro della fronte, destinato a seguire la linea del naso, non è altro che… SANGUE! che in inglese si dice …BLOOD! e che BLOOOOOD! OOOH, SHIT, BLOOD! AND WHY ARE YOU BLEEDING NOOOW?! è l’urlo improvviso e appassionato, quasi in falsetto, del tedesco più grosso della compagnia che indietreggia nel terrore più sincero e punta il dito verso quello che sta accadendo alla mia faccia. BLOODDD!!! Merda, che figura del cazzo. Proprio identica a quella che volevo evitare.

Sono una maschera di sangue quando è la band al completo che si volta a guardarmi. Piango e rido contemporaneamente. Anche se in realtà sto più ridendo, ma è impossibile spiegare al gruppetto impazzito che non è niente (ormai), che è solo una suggestiva secchiata d’acqua colorata e che croc è solo l’eco di un buffetto.

N. in qualche modo comprende che quelli da tranquillizzare sono i tedeschi, mi sottrae alla loro vista, mi conduce in bagno, prende l’acqua con le mani a coppa. “Si può sapere cosa hai combinato?” ripete ritmicamente sforzandosi di non ridere, ma lasciandosi sfuggire solo sorrisi rassicuranti, ad ogni scroscio che lascia cadere sopra il buco che ho in testa, sopra di me che sdrammatizzo, sopra le mie sinapsi danneggiate che cominciano a recitare per spaventarmi ulteriormente “La pioggia nel pineto”, sul fiiii interiore che riprende vigoroso, sulle tamerici salmastre ed arse, sulle traveggole aerografate che mi sono rassegnata ad accettare come compagne di vita. Non c’è molto di cui disperarsi però: questi nuovi curiosi sintomi che velocemente si stanno affastellando mentre mi siedo/svengo sul pavimento coperto di acqua e cleenex bianchi e rossi lasceranno un ricordo strategicamente decadente di me.

posted by milo @ 1:13 AM

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