---{ domenica, agosto 15, 2010 }---
[We're digging, we're burying]
Sentenzia greve: "Agosto è un mese terribile, se ne vanno tutti". Risponderei qualcosa riguardo le vacanze, ma poi capisco che non è a quello, non alle persone che se ne vanno in ferie, che si riferisce.
Non rispondo perché se faccio un rapido calcolo dei dipartiti vicini e lontani che in agosto salutano il mondo terreno dovrei ammettere che ha ragione, ma non voglio darle corda in queste tristezze.
Osservo che c'è ancora del rimpianto in lei. Inquieta vi si aggrappa, un po' perché lo sente veramente, un po' perché così giustifica il suo status da devota vedova inconsolabile. E a dirla tutta non si perdonerà mai, che quel giorno stronzissimo c'ero io a tentare invano di soccorrerlo e non lei, che l'aveva salutato distrattamente in mattinata aspettandoci per cena.
Vivo un rapido flashback della voce ferma e calma dell'operatore del 118 e di oggetti personali sparsi sul tavolino, ma lo ricaccio indietro da dove è venuto. Appoggio la fronte contro il finestrino e chiudo gli occhi. Sento delle lacrime formarsi dietro le palpebre a causa della luce abbacinante che entra diretta nell'abitacolo.
Per quanto razionalizzato, analizzato, metabolizzato, vissuto, in questo anniversario è difficile non sentirsi più soli e perduti di sempre perciò volentieri mi lascio trascinare in incombenze di visite familiari, a farsi offrire gelati e gingerini dopo il consueto giro al cimitero.
Quante sono le cose che non ha mai saputo di me e del mondo che un tempo gli apparteneva. Se avessi il dono della Fede, se credessi in una vita ultraterrena, potrei consolarmi raccontandogli cosa ho combinato in questi anni, come se fosse un amico di penna dimensionalmente lontano.
Ora so guidare, e anche bene! Ho una laurea (dai, indovina in cosa!) e c'è un nuovo gatto! E avresti mai detto che sarei diventata vegetariana? E poi Internet, ad esempio, quanto ti sarebbe piaciuto? Grazie al tuo ingegno da inventore ne avremmo tirato fuori qualche business per entrambi.
A volte provo a pensarci, così per scherzo, ma devo smettere subito.
posted by milo @ 1:27 PM
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---{ sabato, giugno 19, 2010 }---
La banalità del bene*
Le mezze storie incredibili che ho avuto in questi anni. Io e l'altro, incapaci di ottimizzare investimento emotivo e realizzazione concreta, a tal punto che a volte credo che qualcuno si sia inventato dei sentimenti per me. Mentre lo scrivo me ne convinco sempre di più (sennò come può essere sopportabile questa tensione), ma se lo leggo a voce alta me ne convinco sempre di meno.
Le mie mezze storie bislacche, come se io non riuscissi a trovare un'uscita da me stessa. Non lo dico per vantarmi di improbabili record al contrario, per inventarmi che "me li becco tutti io", non lo dico per provare per loro quel rancore sfigato che alcune cercano di incanalare nell'ironia crudele e malriuscita di post fieramente femminili alla sex and the city dove si ride sguaiatamente delle debolezze altrui solo nel momento in cui ci feriscono, quando le isteriche siamo forse noi ma non è questo il punto.
Le mie storie bislacche, ché quando ne racconto lo svolgimento (con discrezione) gli amici uditori esterni allargano le braccia in un gesto ampio di sollievo interrompendomi sorridendo con la soluzione in pugno: "Ah beh, se è così allora siamo a cavallo! tu porta pazienza". Io rispondo solo: "Sì" o "Buh, sì." e poi cambio argomento. Anche per non rischiare di ribaltare, causa nervoso compresso, il tavolino del bar e tutti gli sprizzaperol sopra, casomai volassero tautologici escamotage consolatori come un "si vede che non gli piaci abbastanza" / "non hai ancora trovato quello giusto".
Da qualche tempo ho imparato a fare così, a dire "Buh" concilianti e sorridenti, e a cambiare argomento invece di insistere con le mie analisi ed interpretazioni giocoforza fallaci.
Fa bene ai miei uditori e fa bene a me, perché così non mi addentro in paranoie successive, in cui mi convinco, mano a mano le frasi fatte escono dalle loro bocche, che a loro non frega nulla di aiutarmi ad uscire da queste situazioni bislacche, che non ne sono in grado o hanno una visione della vita un po' danneggiata, o chi sono io per giudicarlo eppure lo faccio.
Le mie mezze storie incredibili riguardano persone che secondo me sono straordinarie, che di solito vivono momenti un po' di transizione e preferiscono parlare o ascoltare a lungo, che compiono gesti carini quasi sempre indovinati, che mi fanno incazzare con i loro atteggiamenti incongruenti, i loro "pero' possiamo restare abbracciati tutta la notte senza fare niente sarà bellissimo lo stesso". I loro, non i miei. Io non lo dico e non lo faccio, perché la produzione musicale e letteraria che ho affrontato in questi anni di esistenza terrena mi ha reso consapevole degli effetti devastanti che possono avere determinate incongruenze sulle persone che ti vogliono bene, bene vero o presunto ma nel dubbio mi comporto con rispetto, attenta per quanto possibile a creare aspettative proporzionate.
Io, le mie storie bislacche non le cerco mai, proprio per non finire in storie bislacche; aspetto (senza aspettare) che gli altri incappino nella mia esistenza, facciano la loro proposta (a volte coerente con il loro atteggiamento complessivo, a volte solo parzialmente coerente) così oltre alla sorpresa di essere piaciuta a qualcuno che ritengo in gamba scatta anche la lusinga: il metodo ideale per affezionarsi troppo quando il loro momento di transizione finirà e ritroveranno la via per le sane relazioni esogene con gente regolare.
Io non so se mi ritrovo in un periodo di transizione. È un'era zoologica. Se fossi io a scegliere, potrei decidere quando azionare l'interruttore ON/OFF, tenendolo acceso quando mi sento la primavera dentro e spento quando ho una giornata troppo grigia. Basterebbe fissarsi su una determinata caduta di stile per fare spallucce e dirsi, almeno per rimandare la questione, che "in fondo mi ero sbagliata, lui non è questo granché". Sarebbe comodo, ma a trent'anni suonati, temo ancora atavicamente il rifiuto di un mio primo passo. E non mi sento ancora pronta per usufruire dei broncetti, dei ricatti, delle sbuffatine annoiate, da mettere sul piatto subito così quell'altro accetta pregi e difetti in toto irrazionalmente, da bravo cagnolino schiavo della f**a.
Questo per dire che la scena unica della cucina di Ben Foster/Samantha Morton in "The Messenger" mi ha spezzato il cuore; a vedere loro, assieme, così normali, indugiare e soffrire con speranza.
*(e delle cose scritte di getto)
posted by milo @ 2:08 PM
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---{ domenica, febbraio 14, 2010 }---
{Shut the door so I can leave}
In lontananza, nella mia via, con scadenze quasi regolari, ultimamente giornaliere, ma troppo poco precise per trattarsi di un lavoro notturno, verso le tre e mezza del mattino sento il rumore di un’auto messa in moto che poi se ne va. Immagino che sia qualcuno che viene ricacciato nel proprio letto. Nell’intorpidimento del sonno mi chiedo perché non te lo tieni accanto una buona volta.
posted by milo @ 1:56 PM
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---{ venerdì, febbraio 05, 2010 }---
{I'm so tired}
out here i can barely see my breath surrounded by jealousy and death i can't be reached i've only had one call dragged underneath seperate from you all
this time i've lost my own return in spite of everything i've learned i hid my tracks spit out all my air slipped into cracks stripped of all my cares
i'm so tired sheep are counting me no more struggle no more energy no more patient you can write that down it's all too crazy i'm not sticking 'round
posted by milo @ 9:31 PM
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---{ venerdì, gennaio 15, 2010 }---
Don't panic. Ok, panic.
Sì, il mondo è pieno di stronzi veraci e ruspanti. Tutti noi li abbiamo incontrati e sono i più facili da dimenticare, da elaborare e da scaraventare nel cestino. Poi esistono anche quelli che non se ne rendono proprio conto che ti stanno proprio facendo del male, mostrandosi proprio interessati a tutto di te compresa la quotidianità più insulsa e pallosa. Lanciano impalpabili fili invisibili per ancorarti a loro. Condividono, assorbono, fanno proprie cose che a te piacciono (e tu contenta e orgogliosa di te stessa ti crogioli nei solidi riferimenti comuni) e di cui parli volentieri perché senti che il tuo entusiasmo li contagia facendo prevedere che un giorno ti abbracceranno stretto stretto stretto perché hanno capito tutto. Ahahaha, le favole buFe!
posted by milo @ 4:34 PM
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---{ domenica, novembre 22, 2009 }---
{Lebensraum}
Hai grokkato! No, ti sbagli oppure non te ne frega nulla, ma sorridi e questo è ciò che conta adesso. Poi ripeti il ripetibile entro schemi di tranquillità, mentre io curo i miei stati d’animo e finalmente recupero la rotta. Corro. Sbircio dentro le case illuminate, che sono dei Nighthawks residenziali, soffrendo un pochino le folate di vento freddo e così trovo la mia pace, o forse sono solo le endorfine. C’è un cerchio attorno agli individui, un Lebensraum, in cui di solito non so entrare: non so entrare alla prima occasione, raramente alla seconda, alla terza se ne può discutere se è un periodo fortunato. Il cerchio non è unico in realtà, perché si può essere trasparenti a più livelli, racchiude i caratteri burberi o affettuosi, i gusti e le routine, e s’interseca con i cerchi concentrici degli altri estranei. Solo attraverso molti tentativi, con il coraggio di motivazioni sempre nuove e dettagliate riesco a farmi strada senza inciampare e senza creare scossoni nella catasta di hulahoop. A volte mi sembra di esserci riuscita e invece ho solo seguito il contorno, in bilico con le braccia aperte, incapace di cadere dal lato giusto. Alcuni passi sono sicuri, altri mi fanno tentennare smarrita con effetti comici per tutti. Entrare non significa invadere, eppure il successo sulle isometrie giunge sempre casualmente; per di più sono abbastanza scarsa rispetto agli altri giocatori e, a complicare le cose, mi guida la convinzione che riesco a cadere agevolmente nella parte giusta del cerchio solo se non provo interesse nel farlo. Non so perché succede; forse perché invece di pensare che siamo tutti isole circondate da anelli di Saturno e molte moltissime lune, dovrei credere che tutti... ehm, parecchi... ehm, qualcuno ha bisogno di me fregandosene per contratto dei cerchi, ma suona un po’ presuntuoso. Un buon compromesso è godersi questo ottimo krapfen e le letture mattutine indugiando sotto le coperte.
posted by milo @ 11:06 AM
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---{ domenica, novembre 08, 2009 }---
{When you are engulfed in flames}
Vorrei accanto qualcuno che mi dica che andrà tutto bene. Oppure vorrei accanto qualcuno che mi ascolti mentre dico che andrà tutto bene, e tragga dalle mie parole sollievo e nuova fiducia.
posted by milo @ 12:52 PM
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---{ mercoledì, settembre 23, 2009 }---
Non è la fine del mondo
C’è una sigaretta spenta nel posacenere, la prima della giornata, e rimangono nell'aria dei piccoli sospiri d’insofferenza cortese. Non è ancora successo, ma dal passo trascinato con cui si avvicina alla soglia di casa si può intuire che la scena sarà questa. Consapevole di portare solo negatività inconsolabile che attribuisci ai bioritmi, potevi startene a casa piuttosto. Non ho le facoltà mentali per trasmettere banalità ora.
Schiaccia il mozzicone e si prepara all’ascolto osservando come io non l’osservo. Non dirò molto: sono concentrata a sentirmi poco spontanea. Non dirò molto: ciò che desidero di più adesso è parlare con qualcun altro di carattere diametralmente opposto al mio, che mi ricordi quanto sia facile ascoltare e parlare rispecchiandomi nei suoi sorrisi.
Si sbriciola così, a ripetizione, ogni mio intento comunicativo e finalmente produco quelle banalità che entrambi attendavamo: io con fastidio, tu con sollievo. In questo momento sono un libro aperto. Ma faccio trasparire gli stati d’animo sbagliati. Mi guarda e butta la testa indietro con un gesto un po’ troppo solare per la circostanza: “Ah, ho capito come ti senti!”. No, hai solo avuto l’impressione di aver individuato rassicuranti similitudini con le tue tristezze, le cui motivazioni ricalcano gli articoli brevi di riviste femminili e hanno il pregio di elevare di rango le mie, anche se continuo a chiedermi in modo dannoso e ostinato cosa c’è che non va in me.
Riempi per favore queste pause. Per favore, continua, intanto che mi sento un po’ stronza almeno in un innocuo dialogo con me stessa. Tutte le tue frasi consolatorie iniziano con un desolante: “Eh, sai noi donne...”.
Per risponderti potrò sorridere con gli occhi ribattendo in silenzio perché fare finta di condividere lo stesso disagio è la soluzione più comoda in questo momento in cui non so, per l’ennesima volta, raccontare nulla a me stessa di questa cosa stolida, solida e moderatamente ramificata come un baobab.
Lotto per il raro verificarsi del previsto. Cosa cambia se lo dico? È una vita che cerco di voler bene alle persone. Non sono patetica.
posted by milo @ 1:00 PM
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---{ lunedì, luglio 20, 2009 }---
Entro in un negozio d'abbigliamento della grande distribuzione, mi provo un paio di vestiti con poca convinzione.
La filodiffusione manda nell'ordine:
- Only shallow dei My bloody Valentine - All around the world dei Jam - Don't want to know if you are lonely degli Husker Du
Improvvisamente il mondo è sembrato un posto migliore.
posted by milo @ 2:00 AM
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---{ venerdì, giugno 05, 2009 }---
{Senti, ma che tipo di festa è, non è che alle dieci state tutti a ballare in girotondo, io sto buttato in un angolo, no... ah no: se si balla non vengo. No, no... allora non vengo. Che dici vengo? Mi si nota di più se vengo e me ne sto in disparte o se non vengo per niente?}
L’estate si avvicina ad ampi balzi, diminuisce l’appetito, aumenta la fotofobia degli occhietti delicati, ci si prepara e si torna dai festival. Quelli altrui. Non il mio. Quest’anno lo Shagoo infatti non si farà. Più che optare per un abbandono definitivo, mi auspico che festival e organizzatori si siano presi un anno sabbatico, scoraggiati temporaneamente dall’atmosfera globale da shock petrolifero del ’73.
Quest’anno lasciamo il pubblico a rimuginare solo soletto sulla mancanza dello Shagoo e a percepire finalmente il lieve senso di nostalgia e vuoto che genera questa mancanza. Sì, perché quando ci si tira fuori dal mercato così a tradimento, ci si può anche prendere il lusso della presunzione di essere rimpianti dalla piccola collettività che aveva fatto del festival un appuntamento abituale.
Nel resto dell’Italia le iniziative non sono mica scomparse, anzi sono ben numerose rispetto ad un tempo. Le realtà commerciali si stanno appropriando con forza spigliata SIA della proposta mainstream SIA della controproposta underground indipendente CONTEMPORANEAMENTE. La gente però non si sente presa per il culo e non percepisce questa tensione concettuale, perciò in realtà forse nessuno sentirà la mancanza dello Shagoo.
Ad esempio un MIAMI dà tutto: lì essere poser non è una condizione negativa, è condiviso ed accettato, è sintomo di alta ironia. Il Miami è l’evento dei vincenti che fingono di essere perdenti, perché in quello spazio condiviso non è necessario raccontare una passione profonda e coltivata per rapportarsi e comunicare con successo con gli altri. Basta scendere in strada e ballare ballare ballare, blandi nei simboli, blandi nei significati di questi simboli.
L’assimilazione dei dischi, la capacità di approfondire aspetti secondo percorsi sistematici, come in una spirale positivamente discendente la cui parte finale è rivolta verso il tentativo di cogliere l’essenza di un movimento, di un’etichetta, di un gruppo di persone, è inutile fatica. Se proprio devi dimostrare un qualche spessore intellettuale sappi che in una notte il tuo hard disk si può riempire di 800 GB di mp3, che saranno sempre più di quanti un appassionato di medio livello riesce ad accumulare con i metodi tradizionali degli acquisti fuori e dentro il circuito dei concerti nel giro di un decennio.
Naturalmente non siamo dentro 1984: una determinata dimensione indipendente non è ancora morta. Come per il punk e le successive evoluzioni dell’hardcore essa è scesa di nuovo alla chetichella nel sottoscala.
L’emo è ormai patrimonio delle culture giovanili più ridicole? E lei si nasconde per essere di nuovo preziosa, per insegnare a chi vuole ascoltare, per usare col contagocce la democraticità della Rete mescolando nuove trovate ad aspetti della vecchia scuola che sono sopravvissuti alla prova del tempo e sono finalmente amati.
Un’irruenza semplice e la dimensione amicale sembrano le priorità del progetto Lago Morto, band punk hc , di hc dritto dritto. In questo 2009 Lago Morto va ricordato per la particolarità di un tour di 14 giorni dentro location insolite (pizzerie, gelaterie, negozi di dvd, lavanderie) della sola zona di Vittorio Veneto, innestando su elementi di uno spirito originario una proposta nuova, nel tentativo di attrarre gente normale che desidera osservare da vicino il rumore di uno show così schietto.
Questo sulla carta. Dal vivo l’esperienza Lago Morto la assimilo in modo leggermente diverso. Osservo il pogo a pochi centimetri da me, dentro una pizzeria. I gestori spinano birre rassegnati, senza accorgersi che il loro giro d’affari sta subendo un’impennata grazie a questi punk che non si comportano come i punk, e da bravi imprenditori indefessi scuotono la testa senza far trasparire un filo di curiosità che sia uno.
Occasioni come queste fanno ormai parte raramente della mia agenda e mi chiedo se è questo il motivo per cui accetto con benevolenza questo tentativo di recupero di uno spirito che sembra esistere solo come proiezione mentale nelle singole menti.
Complici N. che mi istiga con commenti sarcastici sulla “scena” e un televisore lasciato deliberatamente acceso sulla programmazione corrente di italia uno, la situazione viene percepita in tutta la sua ingenuità un po’ costruita. Ritrovo però le atmosfere di quel bel pubblico di tutti i concerti nella biblioteca di Aidussina. E in fondo mi basta.
Ma tornando a noi lo Shagoo non si farà, dicevo. Non ci crediamo neppure noi che a conti fatti sono passati 6 anni dalla prima edizione gioiosa e scalcagnata.
Lasciarsi andare al tono epico è del tutto fuori luogo per una manifestazione come la nostra, però quando si parla fra noi di questa creaturina in stand-by non riusciamo a trattenerci dallo scherzarci su. Abbiamo visto dei ragazzini crescere, abbiamo visto delle persone che risiedono lontane dallo scomodo nord-est che si sono avventurate oltre Mestre per giungere nello scomodo Friuli per piantare le tende e seguire tutte e 6 le edizione del nostro piccolo festival anno dopo anno, sedendosi ad un certo punto dalla stessa parte del bancone di noi organizzatori, entrando in cucina la mattina in pigiama grattandosi la testa e spalancando il grande frigo industriale come se fosse quello di casa loro.
Se proprio si vuol continuare sulla falsariga di questo tono di boria scherzosa, aggiungiamo il fatto che ormai in questo periodo è abitudine dare un’occhiata alle scalette di festival estivi ben più blasonati del nostro e constatare con ironia compiaciuta che i programmi offerti, in linea di massima, non sono altro che un mix di ri-proposte in ritardo di band che già avevano calcato il nostro palco o quello di festival a cui ci sentiamo più attitudinalmente vicini, come ad esempio l’Antimtvday di Bologna. Chissà se almeno loro resisteranno quest’anno.
Guardo un po’ di MTV, scorro con gli occhi qualche Webzine italiana, leggo qualche blog collegato e posso comprendere come sia facile per un’élite appropriarsi di concetti così sfuggevoli. In fondo basta arrivare per primi e avere la disonestà intellettuale di metterci la mano sopra e dire questo è mio e ha questa forma esclusiva. Sono Carlo Pastore e questo è il do it yourself.
È difficile ribellarsi a tale smacco e a ribattere su un tema così sfaccettato: ci vuole esercizio, ci vuole gente che sappia rispondere coniugando nozioni concrete e appeal comunicativo per non annoiare e non far sembrare tutto un retaggio passato.
La tematica del do it yourself necessiterebbe di un’analisi continua e sistematica non tanto per autocelebrazione, quanto per abituare la gente a pensare e a percepire la contraddizione in termini di cui si parlava prima, di una proposta e controproposta in mano a soggetti commerciali che non dovrebbero per definizione avere nulla a che fare con tutto questo.
L’attitudine è un concetto impegnativo da spiegare, a me non sembra neppure adatto il termine attitudine per la supponenza implicita che trasmette. I confini semantici sono per fortuna sfuggevoli quanto basta per essere oggetto di ridefinizione dinamica che genera innovazione. Se poi ci si ritrova dentro ad una situazione organizzativa che necessita di questa cosa indefinita, ma innegabilmente presente e pronta a essere plasmata, tale situazione ti priva automaticamente della distanza di analisi giusta per azzardare descrizioni.
Ma Carlo Pastore si appropria del do it yourself edulcorandolo, quindi mi sembra doveroso azzardare una descrizione che riguardi il mio rapporto con gli eventi diy dove il valore dell’assimilazione sia cruciale.
Si può parlare in questo caso di teorema dimostrato per negazione, o meglio sottrazione? Amo descrivere lo Shagoo come un festival in cui innanzitutto si ragiona per sottrazione: non siamo in grado di definire cosa questo festival dovrebbe significare e trasmettere, ma siamo in grado di individuare bene in qualità di fruitori e appassionati di musica e manifestazioni, cosa non ci piace dei festival che non ci piacciono.
Ragionare per sottrazione in questo caso significa andare avanti sapendo ciò che NON vogliamo che lo Shagoo diventi. Con il passare degli anni questa idea dai deboli confini si è rivelata la scelta vincente perché ha permesso alle diverse anime che compongono il comitato organizzatore di creare qualcosa in cui ci fosse uno spazio ragionato sia per le esigenze degli ascoltatori, sia per quelle dei musicisti, sfruttando la forza del nostro comitato che sta proprio in questa eterogeneità di queste competenze.
In questo non avere una direzione precisa, lo Shagoo ha preso inevitabilmente una direzione. Quella importantissima dell’amicizia e dei blandi inevitabili compromessi. Si parte dalle piccole cose: si cerca di mettere cura in tutto quello che si fa, si cerca prima di tutto di accogliere il pubblico e le band con un sorriso, con qualche attenzione inaspettata in più senza fare i leccaculo, si cerca di sfruttare al massimo la rete amicale perché la frequentazione continua di festival di questa cosa evanescente e autogestita detta anche “scena” ci ha permesso di entrare in contatto con persone davvero in gamba ed appassionate , che sarebbe stato difficile intercettare con una gestione più professionale e professionistica del festival.
L’empatia su cui si è provato a lavorare, prevede uno scambio biunivoco fra due parti. Per il nostro festival questo scambio biunivoco è stato essenziale ed evidente. Si è concretizzato soprattutto nei primi anni, quando il festival era in una fase embrionale, in un piccolo fatto di grande rilevanza: ci sono state decine e decine di band che di fronte a una laconica mail di presentazione hanno deciso di rischiare e di accontentarsi di rimborsi simbolici. Un gesto forse piccolo se fatto rientrare nel “rischio di impresa” che corrono abitualmente i singoli gruppi, ma se moltiplicato per più cervelli, ecco che si comprende dove ha origine il vero do it yourself e perché riveste significati fondamentali nella vita di una comunità di nicchia ma non troppo, che tenta di fare il possibile per trasferire determinati principi etici nati dal basso nel mondo dei “normali” .
In tutto questo ciclo virtuoso apparentemente mancava un feedback strutturato, una risposta concreta del pubblico che ci facesse capire in qualche modo che questo nostro vagare per tentativi ed errori alla ricerca della dimensione ottimale, in cui convergessero la felicità di organizzatori, dello staff delle band, dei critici e pubblico, fosse apprezzato.
Quando il rito è ormai consolidato, lo sono anche le aspettative, ma quando il rito dell’appuntamento di fine estate con cadenza annuale è venuto a mancare per intoppi burocratici gravi le voci di protesta si sono levate, anche numerose per fortuna.
L’unica “proposta” che abbiamo voluto introdurre e che è diventato un po’ anche il marchio di fabbrica che si fa ricordare al di là della musica è stata quella di offrire un menu basato esclusivamente su piatti vegani (che quindi non contengono né carne, né pesce, né alcun tipo di derivato animale). Questo non certo per proselitismo ma per mera scelta pratica naturale: perché io vegetariana che organizzo un festival, che devo lavorare in cucina per 3 giorni di fila, gratis, devo anche costringermi a maneggiare alimenti che non mi va facciano più parte della mia vita?
Così, senza fanatismi di sorta. I New Year nella penombra dello splendido auditorium di Barcellona cantano solenni e slowcore "The end's not near /It's here / Alleluia, spread the cheer / And watch the millenarians / Throw a party for a thousand years" e gioisco nervosa per come tutto ciò combaci alla perfezione con il mio stato d'animo finalista riguardo soprattutto le tematiche di questo post.
Sento che lo spirito originario, se mai ci è stato, si è perso e che molte cose sono state danneggiate, cancellate, cambiate. La mia parte pessimista sente che sto tagliando ponti senza evolvermi, genero e sono vittima di cambi di equilibrio, soffro quelli di atteggiamento ma poi mi abituo; c'è poi la mia parte ottimista (e le fasi già vissute, analoghe a questa) che mi insegna che quando ritengo che alcune situazioni si sono diluite per sempre, è la volta buona che riemergono per smentirmi e farmi risalire in cima alla collinetta delle montagne russe a percepire di nuovo l'emozione dell'aria in faccia nei saliscendi rendendo più pacato e obiettivo il mio auto-narrarmi.
posted by milo @ 4:15 PM
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---{ martedì, maggio 19, 2009 }---
J'haikkuse
Come ci si sente? Beh, stanchi, stupidi, e dolorosamente mediocri.
posted by milo @ 7:48 PM
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---{ lunedì, maggio 11, 2009 }---
“Vado! Non mi piace questa canzone!” “Quale canzone?” “Quella che sento da dentro il locale mentre noi siamo qua fuori a goderci il fresco. Vado!” “Ma se si riesce a percepirla appena! Stai male.” “Sì.”
White Town, “Your Woman”. Ormai dimenticata, come avviene nel destino delle hit one-hit-wonder, aveva raggiunto la vetta delle classifiche inglesi proprio in quell’estate nefasta. Aveva un video in bianco e nero, una fotografia curata che inscenava con modalità da film muto un percorso di vita femminile e ha fatto da colonna sonora inconsapevole al momento più drammatico. Per la verità il ricordo completo comprende anche due infermiere appoggiate specularmente agli stipiti della porta di terapia intensiva come le sfingi della Storia infinita. Parlottavano amabilmente non proprio sottovoce di ricette di cucina mentre io ero intenta a calzare le foderine sterili con lentezza e delicatezza esasperanti, nel tentativo di mantenere disperatamente il più a lungo possibile quel momento di calma sospesa nella fissità dell’aria dell’occhio del ciclone.
Dentro la stanza quieta, tra un lampo e un tuono che si disegnavano fuori dalla finestra ,“Your Woman” entrava nella storia, nella mia storia, nel modo peggiore possibile. Trasmessa in lontananza da una radiolina era l’unico elemento che scandiva il tempo altrimenti immobile. Quanto mi sarebbe piaciuto che quel frammento di vita fosse rimasto congelato; non pretendevo che si tornasse indietro, ma almeno che accadesse un semi-miracolo per lasciare tutto così com’era con me con la testa fra le mani a fissare le fughe del pavimento sentendo a ogni sospiro profondo il sollievo della speranza che s’infondeva tra i presenti. Quella canzone insulsa, circolare e apparentemente innocua era invece l’unico elemento che mi stava ricordando con insistenza delicata quanto avrei sofferto di lì a pochi istanti.
In quell’anno, dopo i fattacci, digerivo con misura e rassegnazione il trauma. Poche uscite controllate di notte guidando in solitaria alla ricerca del mare. Era fondamentale evitare con cura l’ascolto di quella canzone attraverso lo zapping o spegnendo tempestivamente la radio.
Ieri sera invece quando un dj in una sala lontana ha mandato questo brano, magari compiacendosi con se stesso per la chicca dissepolta dalle sabbie del tempo, non sono riuscita a schivarlo. A tradimento mi sono trovata costretta a riassaporare in lontananza il suo ritornello catchy. Risentirlo nella sua interezza dopo anni mi ha letteralmente segato le gambe. D’altro canto cosa potevo fare? Fuggire? Come avrei potuto giustificare una fuga improvvisa? Però l’ho fatto. Appena a casa, ho scritto.
“Vado! Non mi piace questa canzone!” “Quale canzone?” “Quella che sento da dentro il locale mentre noi siamo qua fuori a goderci il fresco. Vado!” “Ma se si riesce a percepirla appena! Stai male.” “Sì.”
posted by milo @ 10:54 PM
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---{ mercoledì, maggio 06, 2009 }---
{Hey you, new wave}
“Cos’hai?”. Lei risponde lasciando brillare l’occhio lucido. M. mi guarda, la guarda, insiste per cerimoniale diplomatico: “Si può sapere cos’hai? Posso fare qualcosa per te?”. Allontanandosi lascia ancora una volta che sia il silenzio a rispondere per lei.
E io odio, quanto le odio queste situazioni. Mi sembra di aver a che fare con una moltitudine di piagnucolose, non una ma centinaia, che per una passeggiata sulla scogliera indossano le decollete da minimo sforzo metropolitano e si fermano nel mezzo della marcia, doloranti, contro il muro di roccia massaggiandosi il calcagno con sguardo puro e supplichevole di chi non si pente di essere prima di tutto stupida.
Dovrei iniziare a fare arti marziali, a prendere a calci un brutto sacco di plastica, a sentire la fatica vera propedeutica alla gioia della stanchezza salutare, dovrei iniziare a dimenticare attese, empatie, approcci da colibrì. Darci un taglio con l'autoetichettamento e riconoscere quando mi conviene comportarmi spavaldamente da piaga.
E invece no: ripercorro con senso di pace la naturalezza del gesto di quando lui mi accoglie inaspettatamente ancora una volta.
posted by milo @ 2:27 PM
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---{ lunedì, aprile 13, 2009 }---
{I cani di Pavlov e quelli dei punkabbestia}
Per allenare il senso del trash in attesa che spiova, ridendo ci accingiamo a gustarci “Fuori Vena”, lungometraggio opera prima di Tekla Taidelli, film off sui punkabbestia milanesi. Affiliamo scetticismo e commenti sagaci: vi avviso, di questi punkabbestia ne sentirete anche la puzza!
Invece mi ritrovo zitta e rapita dalle immagini a mormorare commenti per nulla sagaci, ma solo di sorpresa sulla capacità documentaristica. Ricadono vive su di me storie di persone che ho realmente conosciuto. Mi stupisco di come questa regista insopportabile non abbia inventato nulla a parte un montaggio forsennato, dove l’esagerazione tossica diviene affascinante, e di come ci sia anche parte di me, personaggio secondario, là dentro. Ad ogni uè Barabba, bella zio, sto iperlesa, toffa pronunciato io sussulto e aggiungo pezzi alla fotografia: flash scomodi e sedimentati di gente che sapeva solo dire, con tono da chi sa parlare solo per grandi verità, "quanto è figo il cyberpunk-cioè-figa" sotto l’eco di ignobili dischi di dub e tarantelle salentine.
Aneddoti raccontabili di numeri, spostamenti, case, rischi corsi, alcool, risse, sentimenti amplificati, capelli bianchi di genitori preoccupati – ma per lo più incoscienti/assenti – salgono confusi e vengono sospinti di nuovo giù per non disturbare la visione del film agli altri.
Persiste però il ricordo di un fiore disegnato male, in fretta, piccolo e in un angolo. È un simbolo che strideva nella Smemoranda strapiena di collage composti con gusto estetico adulto di I., studentessa del liceo artistico capace di prodezze grafiche che avrei voluto fare mie e riversarle nella passione con cui disegnavo figure piatte sul banco di scuola nelle ore morte dei mesi invernali.
Accanto a questo fiore, una dedica a Fabietto. Fabietto era quello morto per un incidente in auto o quello ridotto a sé stesso, decerebrato dopo essere caduto in un tombino sotto l’effetto di un trip e ripescato 10 ore dopo con una gamba rotta e i pensieri anche?
Di tanti che mi corrispondevano, forse era quello un po’ spento. “Spento” in quelle compagnie non è quel che si dice un significativo tratto del carattere.
In quella squadretta di persone, che più piscine avevano nell’attico del papy più vicino dormivano alla cacca dei propri cani, tutti erano più o meno spenti. I più vulnerabili dimenticavano nozioni e appuntamenti, si confrontavano esorcizzando le dimenticanze quotidiane macroscopiche in comune e ridevano sguaiatamente con un secondo e mezzo di ritardo, interrompendo l’ilarità di botto come se se si stessero prendendo tutti per il culo a vicenda.
Fabietto mi accoglieva con un calorosissssssssssssssimo “Come va?” senza dedicare un frammento di secondo della sua attenzione danneggiata alla risposta. Ma anche questo a Milano non è un tratto distintivo del carattere di una singola persona.
Sedeva sul prato del parco Sempione tenendo lo sguardo basso, tormentando pigramente con uno stecchino le All Star con la testa appoggiata al ginocchio. A differenza degli altri, che si agitavano scomposti come cuccioli, egli si muoveva lento e pacato con una mano sempre pronta a proteggere gli occhi dal sole. La keta provoca fotofobia?
Io ero quella con la schiena appoggiata all’albero, regolare, fuori dal cerchio dei fumatori, che osservava da lontano il loro silenzio e gli scoppi improvvisi di discorsi funzionali su ciò che stavano fumando o su dove andare a fumare in vacanza.
Con queste premesse, ma anche altre, mi era facile riconoscere già allora che ero contemporaneamente fuori e dentro a questo gruppo dei pari. Mi trovavo lì trascinata da I. e da quelle che un po’ per inerzia, un po’ per affinità identificavo come le mie amiche più care.
Quelle ore assolate – perché non ricordo giornate di pioggia di quegli inizi d'estate milanesi? - al Sempione le passavo continuando a rifiutare, settimana dopo settimana, sigarette che uscivano verso di me dal giro.
Per precauzione sociale tenevo a portata di mano sempre una birra da sollevare e mostrare al buon samaritano per fermare il suo gesto generoso e dissimulare con nonchalance: “No, grazie. Ho già questa.”. Tale battuta lasciava le azioni degli altri sospese a mezz’aria, quelli più stupiti alzavano gli occhiali da sole sulla fronte per scrutarmi meglio. Sorridevo, bevevo un sorso, invocavo dentro di me bombe atomiche, autoclave e forniture per un anno di Lysoform. Sì bravi, siete più punk di me.
Le mie amiche stavano prendendo una brutta piega, o meglio quello che a me sembrava una brutta piega ma che forse era una deriva naturale per qualsiasi ragazzo un po’ alternativo che vive in una metropoli. Poi l’hanno davvero presa seguendo un percorso in crescendo da manuale, rigorose nei loro errori come se volessero dare ragione alle tesi delle mamme antirock e di tutte le associazioni cattoliche. Ecco, io mi sarei trattenuta se non altro per non fare il loro gioco. Da parte mia un po’ mi preoccupavo, un po’ rimpiangevo le nottate passate sul terrazzone di Grado a raccontarci tutto dell’ingresso nell’adolescenza incoraggiate dal panorama della laguna e dalle lucine splendide a filo d’acqua, ma lì principalmente con la schiena protetta dall’albero mi godevo la mia abilità di giocare col fuoco e di sfiorarlo con costanza senza mai scottarmi.
ps: Sì, sono vive e normali.
posted by milo @ 2:30 PM
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---{ martedì, marzo 24, 2009 }---
{le vite degli altri}
So che c’è qualcosa che voglio scrivere. Per ora è in fondo. È ben sepolto ma mi distrae. Ogni tanto, prima di svanire di nuovo flebile, si arrampica con me lungo alcune strade di collina interrotte da grandi campi dove riduco tutto a linee, cerchi e altre forme elementari. Mi volto all'improvviso e cammino sicura di non cadere all'indietro abbracciando con uno sguardo il paesaggio ordinato di tutta la terra arata e del cielo non eccezionalmente azzurro.
posted by milo @ 5:50 PM
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---{ mercoledì, marzo 11, 2009 }---
{Cogito ergo boom} {Penso quindi smono}
Come a quel mio primo concerto serio.
Spostando leggermente la testa , facendo tap tap sulla sua spalla, mia sorella si sarebbe chinata nella mia direzione e avrebbe raccolto circa 16 anni fa il mio commento annoiato e veloce, enfatizzato da un umph e braccia improvvisamente conserte: “IO con la musica non ci avrò MAI nulla a che fare!”.
I fatti che seguirono quel concerto d’estate inoltrata smentirono in modo sbarazzino e meraviglioso quella dichiarazione, tantoché essa sta ancora riecheggiando nei medesimi luoghi in cui fu pronunciata con lo stesso effetto di sleale senno di poi della frase di uno dei due Lumiere: “Il cinema è un'invenzione senza futuro”.
Dopo anni in cui la musica ha avuto MOLTO a che fare con ME e mi rende tutt’ora capace di monotematicità inconsapevole, eccomi di nuovo a sentirmi così addentro a un’esperienza nuova.
Un secondo concerto non da bambini, ma per grandi: applaudo quando applaudono gli altri.
Una mano scosta la tenda del piccolo sipario. Il legno chiaro intorno, i bisbigli composti, le poche figure in piedi, solo teste e gambe. Valuto quante gambe sono vestite con mise da grande soirée e quante teste hanno optato invece per un semplice casual. Cerco indizi su come va vissuta la serata che si sta per aprire.
Appare come se si fosse appena svegliato, entra dalla tenda rossa scostata mentre le luci leggermente si abbassano, e accenna un inchino strano e studiato sovrapponendo le mani distese come se volesse fare l’esercizio del tocco della punta dei piedi fermandosi però alle ginocchia. Quando si siede ci mostra la tanta normalità della sua esperienza. Nella tasca laterale si intuisce attraverso la stoffa la sagoma di un portafoglio gonfio. Al polso sinistro ha un orologio di plasticona blu puffo che ogni tanto aggiusta con un rapido gesto.
Inizia a suonare. Le scarpe seguono la forma della pedaliera, i cuoi nella parte centrale della tomaia si piegano in modo innaturale: lo immagino nel salotto di casa sua che suona per anni con la pianta salda a terra e le punte a comandare i pedali, la moglie che rassetta e sposta vasi di fiori di foggia neoclassica, affacciandosi velocemente nella cornice degli stipiti della porta per brontolargli contro perché sta rovinando tutte le scarpe. Forse non è sposato.
Mancano le percussioni, il ronzio di un ampli acceso, la polvere perenne che si deposita sugli strumenti. Non riesco a scattare foto mentali delle sagome nei chiaroscuri di un palco. Avanti così per più di un’ora.
Osservare le sue mani in professionale movimento crea l’esperienza gradevole. Mi chedo se non avessi avuto quella prospettiva se l’esperienza si sarebbe creata bene lo stesso. Le mani effettivamente volteggiano sulla tastiera, ipnotiche proprio come nelle sonate descritte in narrativa. Ma non mi basta. Incrociano poco, ci si aspetta ricami di metri quadri e invece ci sono solo accenni sonori di trame e orditi.
Vorrei elementi per capire se vale la pena ricordare i gesti per come sono e creare una cornice per sapere fino a che punto possono muovere le sensazioni. Assaporarle entro determinati confini di analisi le conserverebbe utili.
Mi lascio così coccolare dalla noia di alcuni passaggi di uno dei più grandi pianisti a livello internazionale.
posted by milo @ 2:04 PM
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---{ mercoledì, febbraio 25, 2009 }---
{Se trovassi le parole, le direi davvero?}
Non posso schivare richieste d’amicizia da zombie del passato. Di alcune persone sono curiosa di capire quanto differiscano da me a tot. anni di distanza, mentre del delta di pensiero di altre non so cosa farmene. Accetto anche altre amicizie più formali per accorgermi poi che quando leggo le discussioni su temi seri sugli status di FB cerco di scorrere con gli occhi e distogliere lo sguardo, desiderando di saperne di meno e non di più.
Vedo inutile solennità, ma non credo di essere l’unica a pensarla così. L'immediatezza di ricerca del consenso di quei messaggi e del blog-pensiero sono ancora una modalità comunicativa troppo giovane per non essere scambiata spesse volte per inutile sottile saccenza. L'atteggiamento che muta da un'ora all'altra ammanta tutto di dietrologia.
Ancora una volta l'ironia/autoironia sembra l'unico modo per riappropriarsi degli scritti, per colpire senza minaccia e non essere fastidiosi, sempre in cerca di una morale a tutti costi.
Poi chi scrive bene si vede, per fortuna.
Sarà per quello che di solito mi dedico alle column inglesi: la barriera della lingua mi impedisce di pensare troppo profondamente alle scelte stilistiche di persone che non hanno una tradizionale autorevolezza. Il supporto della carta dona questa autorevolezza. Il web la toglie.
Dei blog americani mi disorienta la loro scarsa capacità di condensare. La ridondanza in cui spesso cadono paradossalmente mi impedisce di digerire i concetti.
Il lato positivo della faccenda è che ragionando su dettagli così superflui, per contro assorbo con genuina ammirazione il materiale che davvero mi piace, mi perdo nella cornice, mi ci affeziono con moderata gioiosa attesa e perdono agli autori quasi ogni loro scivolone.
posted by milo @ 1:17 AM
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---{ lunedì, febbraio 16, 2009 }---
{Non me somiglia pe' niente!}
Ho scoperto in rete una che scrive come me. Ovviamente non mi piace.
posted by milo @ 2:40 PM
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---{ venerdì, gennaio 09, 2009 }---
{Ocio} {Revolution starts at home, preferably in the bathroom mirror}
Dove ha termine l’autocompiacenza nel raccontarsi?
Lei sostiene che ha termine davanti allo specchio in bagno, quando si ritrova in piena sincerità e solitudine a scomodare pensieri che credeva fosse capace di esprimere solo di fronte a un’altra persona con l’unico scopo di attirare la sua attenzione su di lei.
“C’ho il proBBlema, intanto che ne parliamo stai con me e passiamo il tempo assieme così”. È una strategia mondialmente e uniformemente diffusa nelle diverse fasce di età, non sarebbe grave attuarla. Ci vuole abilità però, lei ha solo tempo per sfogliare le bucce del proprio animo invece, quindi non sta bluffando.
“Non si può mentire a sé stessi”. Che frase da incarto del Bacio Perugina, che frase comoda. L'occhio le cade su un libro di Coelho accanto a una pila della Yoshimoto e le viene automatico pensare l'esatto contrario. L'avrebbe fatto comunque, ma meno rapidamente.
Infatti non riesce a togliersi dalla testa che l’utilità la vivacità di queste considerazioni sull’immagine riflessa, ricche articolate e così fluide e logiche dentro la sua testa, si esauriscono subito. Si spengono quando, ascoltando le proprie parole, ci si sente di nuovo in malafede nel non aver fatto altro che richiamare un proBBlema frivolo e furbetto costruito per l’occasione. Quindi a seconda dei punti di vista che non tengono in considerazione il suo, l’utilità e la vivacità di questi scritti terminano fra pochissimo o perfino adesso.
Adesso. Extra omnes.
La sagoma dettagliata della sua immagine nella vetrina colpita da luce naturale grigia l’incoraggia a proseguire con il racconto interiore, rassicurata dalla rete di salvataggio creata dalla sincerità di quello che percepisce dentro di sé e dalla buonafede che a ondate riacquista vigore. Riprende guardando il ciottolato: “L’insicurezza vegeta in quell’intercapedine che a seconda dei momenti mi fa oscillare dalla consapevolezza che con un pochino di impegno e qualche accorgimento potrei essere una figa spaziale (non ridete e non sottostimate la potenza del pensiero quando naviga in solitaria), e la consapevolezza simpaticamente contraria di essere irrecuperabilmente scherzo della natura o irrecuperabilmente normale, priva di chance per il settore Prime Impressioni”.
Nessuno l’aiuta a risolvere questo dubbio, la verità forse non esiste e manco gioverebbe. È solo temuta, qualunque sia il responso. Osserva la moltitudine delle persone che passeggiano nel freddo, intabarrati con stile o senza stile. Valutare come loro “portano” egregiamente i suoi identici difetti non aiuta, anzi non fa altro che aumentare il margine di incertezza.
In questo ingenuo disorientamento si sente stupida, poi pensa che però la testa c’entra ben poco nelle relazioni, poi si sente stupida di nuovo, poi ricomincia il valzer di immagini sull’immagine, chiedendosi un'altra volta rapita dai profili nella ressa dove ha termine l’autocompiacenza nel raccontarsi.
posted by milo @ 2:23 PM
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---{ sabato, dicembre 27, 2008 }---
{"I wouldn't think she's cute unless she was in a band" appeal}
A volte è come una stanza vuota. La penombra, il parquet chiaro che dà profondità ad un’immagine in 16:9, una scrivania a salvarne la simmetria, una sagoma in lontananza china sulla scrivania. Scrive un paio di parole, appoggia il palmo completamente disteso sopra il foglio bianco immacolato, fatta eccezione per quel paio di parole, e improvvisamente richiude ad artiglio le dita, osservando come la penombra enfatizza le linee dei tendini sul dorso.
Con l’aiuto dell’altra mano raccoglie il lembo della pagina rimasto sul piano, completa la palla di carta creata e la getta dietro di sé. In quell’attimo sospeso non sente più di essere né la persona intenta a scrivere, né la palla di carta appena gettata. Sa di essere solo la stanza vuota.
Perché a volte si tratta di non capire le persone e ostinarsi lo stesso a provare.
In fondo chi ha mai fatto strada con le lettere e i carteggi; quando il pensiero è messo su carta in uno scambio a due esso diviene esposto a caducità. Anche le parole più belle vengono purificate dal senso. È probabile che le si possa rileggere fino a distillarne astio, finché non si riesce a vedere tra una riga e l’altra quanto mellifluo e vischioso può essere l’animo del mittente.
Sapendo che le premesse del gioco sono queste io non riesco a pensarlo, ma temo sempre che gli altri ragionino in modo diverso.
posted by milo @ 1:25 AM
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---{ mercoledì, dicembre 10, 2008 }---
{Day Ditty}
Alza le mani davanti al viso ritraendosi dalla tavola, sorride con l’imbarazzo sublime e sconnesso di chi rivendica il diritto di essere ignoranti in cose su cui non dovrebbe esserlo. Guarda a turno le persone, distribuisce sorrisini e agita ancora le mani in un Nononono capace di rendere sconveniente questa reazione già di per sé esagerata. Io non posso fare altro che osservarmi la punta delle scarpe.
Non può non saperla. Ha peggiorato la sua condizione rispondendo a vanvera, dicendo servilmente che non fa per lei. Perché non la sa? È grave non saperla. Che si faccia delle domande per capire e risolvere quello che si configura come un problema reale. Sta a lei capire a quali fonti affidarsi; ha alle spalle un percorso formativo che dovrebbe farle apprezzare questo. Non dovrebbe rifiutarlo come se fosse olio di fegato di merluzzo.
Lo so che per lei non c’è nulla di particolarmente umiliante nello scuotere la testa come una vecchina a cui è stato appena proposto una partita a Resident Evil, ma perché sono io che devo sentirmi in imbarazzo per due?
Perché sto parlando di un ennesimo cambiamento. Di una soglia di sopportazione che si abbassa e mi fa scrivere questo.
posted by milo @ 2:55 AM
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---{ venerdì, dicembre 05, 2008 }---
{Don't walk away in siiiiiiiiiiiiiileeeeeeeeeeeeeeence}
Londra è un po' più familiare, e mi rendo conto che esagero dicendo così. Quello che mi resterà di questo viaggio sono donne truccate e ben vestite che perdono ogni compostezza (senza congelare o diventare bicolori, però) a causa dell'alcool e trascinano i piedi calzati in scarpe col tacco impegnativo ondeggiando e chiudendo gli occhi perché la loro testa è un televisore a neve. Forse lo è anche quando sono sobrie. Alle sei del mattino, leggermente segnata dalla mancanza sonno, sbirciando scene di vita dietro gli infissi sottili delle case, trovo l'illuminazione per descrivere in modo lineare e trasmissibile cosa faccio in questo periodo. In questo periodo osservo le cose attraverso un canocchiale: se lo utilizzo dal lato giusto le cose sono troppo vicine, se lo utilizzo dal lato sbagliato sono troppo lontane.
Non so come far fruttare questa presa di coscienza. Che mi aiuti almeno a formulare un elenco decente di buoni propositi per l'esistenza che verrà.
posted by milo @ 4:48 PM
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---{ sabato, novembre 22, 2008 }---
{La luce fioca e rincoglionita di Ixelles}
Viaggiare è quella cosa che smorza la mia svantaggiosa capacità di unire fatti e accadimenti con un fil rouge che molto grezzamente fa di tutta l’erba un fascio: l’inglese masticato, la curva di attenzione discendente, i temuti allontanamenti o cambi di atteggiamento che sono come spifferi fastidiosi che raffreddano il mio stato d’animo.
Innegabile è la sottile gioia del lasciare che il proprio io si adatti a atmosfere malinconiche di città nuove.
A un certo punto sono pure contenta che la telecamera lontana del djset del Recyclart stia inquadrando in giro gente assorta nel ritmo non pesante ma neppure ballabilissimo. Sta per includere anche me in questa inquadratura e per un momento mi sento al centro del mondo.
posted by milo @ 3:37 PM
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---{ sabato, novembre 08, 2008 }---
{Statetris}
Sono fra le prime che spera che questi ultimi sbrachi siano in realtà segnali di uno sperato trombo che tenta, oh poverino lui tenta, di comprimere qualche flusso vitale del già compresso cervello di Egli, Iddu, il Messia, l’Unto del Signore. Ogni volta che ripassa il filmato delle sue parole mi immagino, ancora nel fiore dei miei anni giovani, armata di kalashnikov a sparare a salve arrampicata fuori dal tettuccio di una macchina per salutare la Sua dipartita alla volta del Coro Celeste.
Questa innocua speranza perde un po’ di gusto però leggendo un po’ la raffica di messaggi di Italiani che urlano disperati sui media statunitensi per scusarsi della Sua Gaffe e piangono cogliendo l’occasione per dire:“Noi non siamo così, quella mezza parte di Italia illuminata chiede scusa, fratelli.”
Suonano come delle excusatio non petita, delle indignazioni grottesche di fuorisede ascoltatori di Bregovic e Ska P, che quasi sicuramente un americano della suburb qualsiasi leggerà e accoglierà con un pigro: “Ah, vabé. Prendo atto. Ma perché ci scrivono in tanti? Ma l’Italia dov’è?”. Che poi, più o meno, sarà stata la reazione di McCain. Lo sconfitto calato confortevolmente nel ruolo dello sconfitto che torna a casa, si rilassa davanti il caminetto, riempie il bicchiere di whisky e comincia a sfogliare qualche telegramma. Davanti a un telegramma proveniente dall’Italia si ferma e aggrotta la sopracciglia: cerca di capire perché diavolo il brucaliffo capo della sinistra italiana gli scrive congratulandosi per il suo discorso finale di riconoscimento della vittoria di Obama.
C’è una presunzione per nulla cosmopolita nel preoccuparsi dell’immagine che diamo con questo episodio. Il fatto che la cronaca dell’episodio non abbia occupato né la prima né la seconda pagina, ma sia scivolato quasi alla trentesima pagina, dopo le beghe interne del Pakistan, mi induce a pensare che questa battuta suona folkloristica per loro, come per noi suonerebbe folkloristica una boutade razzista/razzistuncola da parte del primo ministro pazzeriello della Transnistria e suonerebbe simpaticamente inusuale la conseguente valanga di messaggi di quella parte di popolo della Transnistria che rigetta cotal disonorevole frase, tesa a creare uno spirito di unione della left mondiale cantando tutti assieme contro i cattivoni con una candelina in mano e disposti a forma di albero di Natale.
Peccato. Mi sarebbe piaciuto vedere un neologismo a tema, dedicato all’episodio su Urban Dictionary.
Non è che l’indignazione per quello che ci, a noi del Belpaese, sta accadendo in questo decennio deve essere di livello superiore perché lede l’immagine nostra negli Stati Uniti. Mi riferisco proprio agli Stati Uniti, perché per difendere la nostra immagine nel resto del mondo non ci mettiamo di solito così tanto appassionato trasporto. E poi lede… Lede cosa? Tali raffinatezze di pensiero sono autoreferenziali: possono solo provenire dalla comunità interna, quella che fornisce l’immagine, non quella che dovrebbe riceverla, se ha voglia di riceverla.
Partiamo invece dal fatto che come noi ci confondiamo staterelli e penisole anche grandi del Sudest asiatico, noi stessi in qualità di Italiani siamo e saremo sempre, a meno ché non arrivi qualche Gandhi-Ataturk-Churchill, quella cosa in basso, sotto Francia e Germania dove si mangia bene e fa sempre caldo.
Concentriamoci, con un po’ di misurata autarchia di pensiero, sul fatto che contando anche questa occasione è già la seconda o la terza volta che Lui ci dà, a noi della comunità interna, apertamente dei coglioni. A parole intendo, coi fatti ci dà dei coglioni quotidianamente da tre mandati a questa parte.
posted by milo @ 2:00 PM
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---{ lunedì, ottobre 27, 2008 }---
{Alma Matters}
Sarà la stanchezza; L. mi sorride e mi guarda per un tempo più lungo del solito. Se una persona ti guarda per più di 5 secondi dicono si possa incorrere in qualche fraintendimento. Mi costringe ad abbassare lo sguardo per prima, a concentrarmi sul lavoro di bricolage complesso in cui mi sono inconsapevolmente lanciata, come ogni volta, per agevolare i discorsi. Non riesco a stare ferma, parlo e avvicino l'involucro alla fiamma della candela cercando di toglierlo prima che appesti l’aria con un odore di capelli bruciati, in questo bar franchising di atmosfere messicane della Baviera più benestante. Ascolto me stessa parlare come se ci fosse un’altra persona: un meccanismo di adattamento interiore soft per riuscire a fare due cose assieme. Continuo a dire cose per non interrompere questi strani ritmi di concatenazione e mi brucio perché una pallina di plastica fusa incandescente cade, si piazza risoluta sul mio polso e decide di staccarsi solo quando si raffredda.
C’è sintonia, lo sa, e mi parla di gente che non conosco. Tenta di raccontarmi di come la sua più grande scocciatura sia quando non riesce a non vivere il weekend e sfruttarlo per fare più cose possibile. Lo guardo poco convinta pensando al senso di ordine che trasmettono le carte geografiche che ha appeso in camera e che mi hanno fatto compagnia per tutto il pomeriggio. Dice che è inquieto, che si incazza, che se le cose non vanno come dice lui diventa una bestia. Non ci credo: io ci vedo solo un carattere equilibrato, una dimestichezza rara con il mondo esterno e l’entusiasmo di quando segue con il dito le traiettorie attraverso i monti e i pallini delle città creando itinerari, esclamando: “E poi andiamo qui che è bello!”, alzando lo sguardo in attesa di proposte. Ed è facile fornire pareri simili o contrari altrettanto entusiasti.
È la prova di come ci si può trovare bene con persone che non condividono interessi basilari. Di come le variazioni di coinvolgimento per i rispettivi interessi diventano zone franche di discorso in cui nasce rispetto e ammirazione. Reciproca stima, forse nel senso più fantozziano del termine, ma forse anche l’unico modo in cui posso spiegare un onesto equilibrio di amicizia uomo/donna dove nessuno ci perde, dove non esiste malizia, dove il silenzio è davvero silenzio e gli arrivederci arricchiscono sempre.
E intanto a Berlino mi abbordano le tipe.
posted by milo @ 7:04 PM
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{Appunticini}
"Zi, perké noi già alle elementari Zi era tantE filo-tedezki ke zi scriveva KASA con la KAPPA" "Anche noi KOSSIGA"
posted by milo @ 11:58 AM
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---{ sabato, ottobre 11, 2008 }---
{Hall of Meat}
Il ricordo da sfumato si fa presente grazie ad una bella canzone dell’ultimo disco di Ben Folds. Mi è stato suggerito di dare un’occhiata al testo di Hiroshima: parla di Ben che si schianta sul palco, si procura un bel bernoccolo, tutti lo guardano, inizia a comporre una canzone sull’accaduto.
È un flashback istantaneo quello che arriva.
Un invito inaspettato. Giungo a destinazione ubriaca di efficienza, talmente ubriaca da combinare disastri. Quei disastri che di solito nella mente degli sceneggiatori statunitensi servono come escamotage per introdurre la protagonista. La sua sbadataggine serve per catturare il pubblico; è così adorabile nelle sue vesti di combina guai recidiva che alla fine il quarterback di turno se ne innamora perdutamente. Funzioni di Propp, non vita reale. Dicevamo. È una bella serata, si sorseggia una birra nel post-concerto tra punti di domanda e aspettative non ancora disattese. Come al solito in questi casi decérebro me stessa, mentre il mio giudizio interiore si fa loquace e più severo del solito. In questo clima di incertezza do del mio meglio. Detto con tono ironico, ovviamente. A fine serata devo recuperare il mio zaino viaggiatore dal vano portabagagli di una macchina e gettarlo in un’altra. Esco nel cortile buio, mi avvio lentamente nel parcheggio facendo attenzione alle pozzanghere e giocherellando con le chiavi con uno stato d’animo distratto, né più né meno di quanto sono stata distratta nel passato pomeriggio. Penso un po’ alla mia sfiga simpatica, alla guarnizione di una caffettiera che ha fatto le spese di queste circostanze, al suo proprietario che inscena goffi tira e molla con me. Recupero pigramente lo zaino, apro immediatamente il vano dell’auto di fianco. Sono contigue le due auto, decido perciò di risolvere il trasferimento in un passaggio unico. Prelevo da una lo zaino un po’ pesante, lo afferro per una bretella, lo tiro fuori e lo indirizzo verso l’altra auto. Lascio che la spalla segua il movimento all’indietro, richiamo con i muscoli lo slancio in avanti e lascio che braccia e torso in rotazione scaraventino la borsa nel secondo portabagagli, non badando al volo brusco che le sto facendo fare.
Solo che: croc. Non ho mai capito bene come sia successo, ma la mia testa nella parte finale del movimento plana con tutta la forza dinamica sul gancio della chiusura del portellone, o viceversa un gancio affamato di sangue plana sul mio cranio per cibarsi del mio cervello. La mia notte risuona con un croc spaventoso al centro della testa, una nuova fontanella si schiude nella sua delicatezza fisiologica come nella testa bambini piccoli. Sul gancio mi prendo una botta fina e infinita, densa ed elaborata. Prima di sentirlo nel punto dell’impatto, quel croc da sala settoria lo sento dentro il palato e in tutta quella zona inaccessibile che sta dietro il naso e sopra il palato, irradiando stilettate che raggiungono le rotule con la chiara intenzione di disinnescarle per farmi crollare a terra esanime.
Croc, dunque. Il cuore però accelera invece di fermarsi, permettendomi di scomporre quasi razionalmente il dolore, di pensare che sto svenendo/morendo per un motivo proprio stupido e per di più con la faccia in una pozzanghera di una città che non è la mia. Mi aggrappo a questa constatazione melmosa e so che ce la posso fare perché sono da sola, perché nessuno mi ha visto. Posso gestire il dramma con i miei tempi e non con quelli del panico. Rapidamente il croc lascia il posto ad un fiiiii interiore ugualmente preoccupante, però il peggio sembra passato.
Ribalto la testa sentendo la botta che si sposta anch’essa all’indietro. Guardo le stelline negli spazi lasciati dalle nuvole scure, provo a distinguerle dalle traveggole cangianti. Un po’ di pioggia in faccia mi fa bene. Sotto l’acqua il mio dolore può ora scemare, tanto più che nessuno potrà mai venire a conoscenza del mio gesto maldestro. Cinque minuti così, immobile, qualche brivido, le tempie che rattrappiscono. Non mi azzardo a tastare il presunto buco al centro del cranio per valutare i danni. Il fiiiii lentamente si attenua, la porzione di dolore insopportabile sparisce. Rimangono solo quella sopportabile, le automobili da richiudere, il cappuccio della felpa da mettere in testa per non far vedere che sono rimasta 5 minuti o forse più sotto la pioggia. Con rinnovata stabilità, lo sguardo basso e il cappuccio in testa a coprirmi l’attaccatura dei capelli rientro nell’area concerto. Mi siedo, con la luce artificiale la visione puntinata si attenua: bisogna dissimulare il più possibile. Resistere (x3).
Con il fiiiii flebile che mi accompagna raggiungo N. e il gruppo di ragazzi tedeschi che hanno appena finito di suonare e che discutono in cerchio a voce bassa delle loro impressioni sul tour italiano. Mi unisco al gruppetto, sorrido da dentro la felpa, educati mi lasciano ascoltare il prosieguo della conversazione sorridendo un poco anche loro. Da non crederci: tutto sta tornando alla normalità e anche il fiiiii che sento forse ha solo a che fare con i volumi del concerto. Mi sento ancora delicata nei movimenti. E piccola, con le lacrime e la notte in tasca. Ma d’un tratto è come se piovesse di nuovo sotto il cappuccio. Una sensazione di fresco che in pochi istanti raggiunge contemporaneamente nuca e orecchie. Non faccio neppure in tempo a pensare di scappare, scappare il più lontano possibile perché non ci vuole molto a capire che quel terzo rivolo veloce che sta colando al centro della fronte, destinato a seguire la linea del naso, non è altro che… SANGUE! che in inglese si dice …BLOOD! e che BLOOOOOD! OOOH, SHIT, BLOOD! AND WHY ARE YOU BLEEDING NOOOW?! è l’urlo improvviso e appassionato, quasi in falsetto, del tedesco più grosso della compagnia che indietreggia nel terrore più sincero e punta il dito verso quello che sta accadendo alla mia faccia. BLOODDD!!! Merda, che figura del cazzo. Proprio identica a quella che volevo evitare.
Sono una maschera di sangue quando è la band al completo che si volta a guardarmi. Piango e rido contemporaneamente. Anche se in realtà sto più ridendo, ma è impossibile spiegare al gruppetto impazzito che non è niente (ormai), che è solo una suggestiva secchiata d’acqua colorata e che croc è solo l’eco di un buffetto.
N. in qualche modo comprende che quelli da tranquillizzare sono i tedeschi, mi sottrae alla loro vista, mi conduce in bagno, prende l’acqua con le mani a coppa. “Si può sapere cosa hai combinato?” ripete ritmicamente sforzandosi di non ridere, ma lasciandosi sfuggire solo sorrisi rassicuranti, ad ogni scroscio che lascia cadere sopra il buco che ho in testa, sopra di me che sdrammatizzo, sopra le mie sinapsi danneggiate che cominciano a recitare per spaventarmi ulteriormente “La pioggia nel pineto”, sul fiiii interiore che riprende vigoroso, sulle tamerici salmastre ed arse, sulle traveggole aerografate che mi sono rassegnata ad accettare come compagne di vita. Non c’è molto di cui disperarsi però: questi nuovi curiosi sintomi che velocemente si stanno affastellando mentre mi siedo/svengo sul pavimento coperto di acqua e cleenex bianchi e rossi lasceranno un ricordo strategicamente decadente di me.
posted by milo @ 1:13 AM
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---{ venerdì, settembre 26, 2008 }---
{Yes Sir I will}
Ubbidirei. Mentre mi guardo attorno nell’atmosfere di neon a sviluppo verticale del capitolato di un giapponese take-away abbassando lo sguardo su facce che potrebbero raccontarmi molto, penso che ubbidirei. Abbandonerei un territorio insulso e privo di contorni di dramma e proverei, come mi viene suggerito, a inondare la mia controparte di logica, di considerazioni su quanto la polvere sulla libreria in soggiorno dica della mia famiglia e delinei profili rassicuranti e gradevoli. E non siamo/non eravamo una famiglia di professori. Finalmente conosco gli autori, finalmente le mie ipotesi hanno un orientamento. Un giorno prenderò una valigia e la riempirò del buongusto di queste scelte consapevoli. Assieme alle mie accumulate nel frattempo.
posted by milo @ 11:36 AM
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---{ venerdì, settembre 19, 2008 }---
{there she goes}
Le cose ritornano. Sarebbe meglio dire che una volta che si individua una coordinata di pensiero tutti i pensieri successivi si adattano alla nuova forma trovata o ritrovata. Mentre concentro energie a guidare in silenzio componendo pensieri statici e, come potete constatare anche voi, i contenuti sono i grandi assenti, mi affido ai traballanti segnali giornalieri per le decisioni della settimana.
Non è stato l’impegno concomitante, ma sono stati i precedenti ragionamenti sulla bellezza legata alla prossemica che mi hanno tenuta lontana dalla cena di classe. Provo ad essere onesta con me stessa, ammettendo il motivo principale per cui non ho voluto presenziare: non è stato un prevedibile episodio di asocialità estesa al gruppo classe. Non volevo proprio incontrare di nuovo una persona simile a me. Non è questione di litigate, di risentimenti, di motivi tangibili che portano le persone a salutarsi per sempre dopo una scazzottata liberatoria.
È solo una persona, una potenziale me dal punto di vista fisico, stesso telaio, solo un po’ più grassa, un po’ più rozza, il piedino gonfietto dentro Superga bianche, un po’ più imbranata, con una voce decisamente peggiore della mia, indifendibile nella sua vuotezza, incastrata nel suo fidanzamento siamese con un’ameba gentile ma pur sempre un’ameba, un rapporto parallelamente basato su due “tienil* ben strett* a te, perché o ora o mai più. Se perdi quest* sei socialmente e sessualmente mort*”.
Era un'entità petulante, che anche quando non mi dilettavo in queste cavalcate introspettive alla ricerca di un perché, riusciva a turbare i miei stati d’animi di adolescente basic. Già allora ero consapevole del pericolo che stavo correndo dal punto di vista esistenziale, già allora vedevo lei un mio specchio, peggiorativo, ma pur sempre uno specchio di come potevo diventare una caporetto visiva per il mondo esterno.
Lei e la prossemica non c’entravano nulla. In quinta i professori me la schiaffarono di fianco, giocando ad un cinico Memory con i nostri caratteri: riusciva a sedersi con le gambe accavallate come Piero Angela, appoggiando il malleolo della sua gamba destra sul ginocchio sinistro. La sua gamba destra saliva dritta con un’inclinazione di 45 gradi.
Dalle 8 alle 13 mi ritrovavo incastrata fra la sua rotula ad altezza del mio viso – se mai mi fossi leggermente chinata sul banco per la normale attività dello scrivere - e il muro della classe a destra, costringendomi ad una rotazione innaturale che forse ancora oggi mi porta spesso a sfruttare lo schienale della sedia come bracciolo.
Preferivo aderire al muro come un post-it piuttosto ritrovarmi per sbaglio la sua rotula rivestita in tuta acrilica Adidas in bocca. Dieci anni dopo preferirei un anno di catechismo piuttosto che ritrovarmela davanti ancora una volta alla cena, ulteriormente svantaggiata dal fattore tempo, visto che il tempo passa e qualche giovane comincia pure a darci del Lei. E senza dimostrare l’intenzione di starci palesemente prendendo per il culo.
posted by milo @ 4:20 PM
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---{ domenica, settembre 14, 2008 }---
{Ho la nausea. Dura un po' troppo a lungo per essere un episodio acuto}
L'iscrizione su una meridiana: "Nulla sono io senza sole / Nulla sei te senza Dio."
Vaffanculo, parla per te.
posted by milo @ 5:59 PM
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---{ sabato, settembre 13, 2008 }---
{Ho la nausea}
È di notte che i pensieri prendono le forme più fluide. La mattina è destinata a livellare le emozioni, il pomeriggio ad aspettare sorprese, la sera ad approfondire i concetti. Rimane fuori la notte, che serve a farti compiere le azioni più stupide. Si scruta nel fondo una foto in cerca di normalità, la trovo, e mi chiedo come mai a me la casualità riserva questo.
La ricerca continua, ma qui inziano ad essere vere un po' troppe cose.
posted by milo @ 1:11 AM
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---{ venerdì, settembre 12, 2008 }---
posted by milo @ 1:08 PM
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---{ sabato, settembre 06, 2008 }---
{Admiring whatever is cool in cool people}
Il mondo appartiene ai belli e io faccio parte di quella schiera di persone che li adora, li contempla nelle loro movenze, si instupidisce per quanto siano adatti alla prossemica, attribuisce alla loro regolarità del volto fin troppi poteri nella scalata al successo, e cade in un piccolo sconforto a causa di paragoni e strategie di raggiungibilità, mentre si guarda in giro e farfuglia cose un po' meno strutturate dei pensieri qui sopra, che se ben espresse forse potrebbero anche risultare gradite.
posted by milo @ 2:08 AM
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---{ sabato, agosto 16, 2008 }---
{Misantropo a senso - molto - unico}
Per superare questa impasse devo contare le tabelline, distrarmi pensando a che tipo di persona vuole. La vuole piccola e indifesa, non il suo contrario, vuole il suo specchio. I fattori di successo anche con le persone insospettabili sono parametri da velina. Gli insospettabili leggono libri per potere istruire chi non sa, le veline. Per trasmettere idee senza ricevere obiezioni, ma solo elogi. Ma non vi danno fastidio quelle domande che puzzano di finto interesse da un miglio? Quelle richieste di approfondimento appropriate, ma appropriate solo perché tanto semplici? Non riuscite ad incassare il colpo, che è facile rispettare i confini del vostro ragionamento se le premesse riguardano non arrischiarsi oltre la semplicità modesta e finalizzata? Quelle domande fatte con il sorriso con il solo scopo di comunicare disponibilità? Perché tanto nella vita vera, si gioca una dura partita esclusivamente per comunicare il proprio stato fisico, corporale. La vita è fatta per dire Io quante più volte possibile senza desistere neppure davanti al constatare che l'altra persona guarda con sguardo vuoto, solo in attesa di poter rubare il turno di battuta, con voce impercettibilmente più alta.
posted by milo @ 1:50 AM
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---{ lunedì, agosto 11, 2008 }---
Incedere per sottrazione Un senso di meraviglia usato poche volte
posted by milo @ 1:42 AM
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---{ domenica, giugno 29, 2008 }---
1."We believe Burns still has the bill hidden somewhere in his house, but all we've ascertained from satellite photos is that it's not on the roof."
2. How long would it take me to walk across the United States all alone. The West coast has been traumatized. I think I'm the only one still alive.
3. ""
4. When the world caves in what are you going to do for me.
posted by milo @ 1:59 AM
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---{ domenica, giugno 22, 2008 }---
Cantina e Orto
Le cose abbandonate da chi non c'è più. Cosa c'è di più triste.
posted by milo @ 11:45 AM
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---{ domenica, giugno 15, 2008 }---
Note a margine mentre guardo dal finestrino la lezione di geografia che si dispiega laggiù, sotto il nostro aereo.
Fino a una manciata di minuti fa era Svezia, erano mille facce perfette, era l'indifferenza nordica che appaga ma allo stesso tempo fa male al cuore. Un sole che non scende mai, rimane lassù dondolando un poco quasi allo zenith fino alle 11 di sera. Dieci minuti sono passati e già mi ricordo di quanto ero straniera - seppure bene accolta - in quelle terre, di come la mia casa non esisteva - seppure per un breve periodo -, di quanto tutto questo doveva essere fonte di gioia ed effettivamente lo è stato. Anche adesso che osservo mille laghetti blu scuro senza neanche una nuvola appesa in cielo.
L'essenza della vita non è mai nel momento, è nel modo in cui quel momento mi arricchisce. Il sentirsi vivi è studiare come quel momento può essere appallottolato e ficcato in tasca in attesa di ritornare nella costruzione di abitudini che è la vita normale. Gli insegnamenti del viaggio sono utili a creare spazio fra me e me come mi immagino, a dimostrare a me stessa che so cavarmela da sola, che è vero che non ho paura della mia ombra.
Questo era il decollo. Ma all'atterraggio cosa c'è?
Nuove persone che si avvicinano. Oh si. Ma le premesse sono facili da fabbricare. Ci cascherei anch'io. Di solito fallisco nel mantentimento dei ritmi e gli altri falliscono nella pazienza del coltivare e dell'accettare. E poi ci sono problemi che iniziano ad affacciarsi flebilmente all'orizzonte, nelle notti in cui mi tengo sveglia con calcoli anagrafici che terminano sempre con la stessa conclusione: quanto sono piccola rispetto a dove il destino ha voluto che capitassi. Tappe troppo grandi per la mia età. Pietre miliari sui denti. Meglio rimandare. E rimandare.
posted by milo @ 12:11 AM
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---{ sabato, maggio 17, 2008 }---
Sara kills a cat
There it is, plain and simple. It destroyed itself without any of my slander. This is the lunacy by which we kneel. This is the doublespeak by which we kill. This is the inertia that keeps tradition feared. This is the absurdity by which we walk barefoot with shoes on our heads.
Ponder this to get nearer to Nothing. On top of the world, think about it, there's Nothing.
An unseasoned meal, monotone spirits, routine homily. Nothing has never been clearer. So kill a cat to keep logic at bay, then eat my body's finest and fell me how it tastes.
Is it Nothing too? Does it stink like Nothing? Does it poison like Nothing?
E’ appurato che potrei piangere in qualunque circostanza. Ne facevo le prove tecniche ieri sera, mentre osservavo il solito vecchio cruccio dei pattern di sguardi e parole che si sviluppano sempre uguali a loro stessi di fronte ai miei occhi. Nel buio della sala mi sono concentrata a spremere il bulbo oculare e con mia sorpresa mi sono resa conto che se mi fossi lasciata andare ancora un pochino avrei potuto mettere in scena un pianto a dirotto che avrebbe spaventato o fatto ridere i presenti. Non so se mi va di analizzare dettagliatamente ciò che oggi mi spinge a scrivere questo, le paranoie recondite che ora non sento più presenti e che con troppa fatica dovrei riportare a galla. Decadono. Si dimezzano. Diventano presto sfuggevoli e annacquate; l’unica testimonianza del loro è passaggio è solo una patina di tristezza inconsistente nell’intimo, un’ombra innocua e bastarda del magone che così tanto eri sicura di provare e di giustificare in quel momento. Il fatto di essere davvero sicura di poter piangere in qualunque circostanza è uno stato d’animo prolifico che libera la mia mente verso pensieri hard-boiled che provano a plasmare la distanza più netta, più nonsense, più triste (almeno per me) fra quello che vedo e quello che dovrei essere se la mia vita fosse stata piena di mille ulteriori “Se”. Un concerto di gruppi perlopiù pessimi, il capannello di gente che si muove, le tipine che sorridono verso il palco mi fanno pensare a quanto sia irrimediabilmente fuori posto. La mia attitudine verso il mondo si trova su una linea di confine tutta mia ed inesprimibile dove la gente si avvicina a me per lo stesso motivo per cui si allontana. Il pubblico continua a muoversi, abbigliamenti studiati, divertimento sincero, chiudo veramente gli occhi come nei film e la prima cosa che balena inaspettata nel fondo del cuore è il simbolo della mia normalità raggiunta e successivamente abbandonata: all’isola d’Elba, fare l’amore in un alberghetto desolato in bassa stagione, davanti ad una finestra aperta su una pineta regolare che nasconde la vista del mare, prima di rimettersi in macchina in silenzio col finestrino abbassato alla ricerca di una pizzeria. Questa era normalità. Una prima vera vacanza adulta di coppia, soli, con i discorsi banali che fa una coppia mentre commenta gli aspetti funzionali della vacanza che sta vivendo, senza preoccuparsi di interagire con altre persone. Solo qualche saluto veloce a coppiette nella nostra stessa condizione quieta. Era inutile? Era bello? E’ replicabile? E’ auspicabile?
posted by milo @ 1:35 PM
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---{ martedì, maggio 13, 2008 }---
Cosa cavolo è? Perchè non passa?
posted by milo @ 10:59 PM
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---{ sabato, maggio 03, 2008 }---
Slow moves
Quando ti paragoni agli altri, quando ti sembra che la tua intelligenza si assopisca, o peggio c’è e non viene valorizzata o peggio ancora, c’è ma spaventa, isola, ti rende una minaccia o una noia agli occhi altrui; quando l’impeto di scrivere due righe per tirare le somme appare sempre più raro, quando sentendo parlare di abbrivio della vita ti vengono gli occhi lucidi e l’angolo della bocca si piega all’ingiù in un misto di fatalismo e commozione, e quando suddetta mossa fa pronunciare ai presenti: “Cos’hai? Sei stanca?”, forse stai vivendo un momento difficile.
Perdere la fiducia nell’umanità o al contrario percepire che gli altri l’hanno persa in te perché in fondo non sei questo essere fuori dall’ordinario non è una bella sensazione. Contemplo quelli che non so neppure se definire errori. Vedo il vuoto del momento, la stasi delle idee. Proverò a fregarmene.
Ho fatto un pianto lunghissimo, ho pianto tutta la tensione accumulata in questo anno. Il naso mi fa addirittura male, le narici bruciano, le guance anche. Man mano che faccio il bilancio di quello che sono e quello che mi aspetto da me stessa il bruciore aumenta. Per un attimo ritorno bambina, quella sensazione di testa pesante e sapore salato mi riporta a tempi lontani. Però adesso non c’è la mamma che mi accompagna in bagno “a darmi una risciacquata”; ci sono io che ricomincio a piangere ancora una volta considerando quanto fragili sono i rapporti umani. Quanto potrei perdere se solo due legàmi improvvisamente mi abbandonassero. Potrei perdere tutto. Potrei trovare giustificazioni nella vita reale ad una mia presunta regressione.
In questo momento grottesco mi sento incapace di gestire relazioni, di attrarre a me persone che cercano di stare con me. Rotolo piano in una china profonda da cui risalirò con rinnovato senso critico. Ma a conferma delle mie tesi nessuno mi aiuta. Nessuno si prende cura.
L’urgenza di scrivere queste righe proviene da tre situazioni distinte che non fanno altro che costringermi a chiedermi continuamente chi sono io per loro. E’ un processo doloroso, anche se so che non è la fine del mondo. E’ doloroso perché non riesco a capire perché le persone si avvicinano in questo modo, riversandomi addosso storie e sensazioni, cercandomi di nuovo per altri consigli finché i casi della vita non li spingono via definitivamente. Tre su tre.
Nessuno si sofferma a chiedersi come sto io e se capita (si, capita, è vero che capita, devo convincermi che capita), nessuno ha la pazienza benevola di vedere come sarà la prossima volta; nessuno si pone il dubbio che la persona e il carattere che presento nasconda una me ancora migliore.
Sono triste per ineluttabilità. Non trovo il senso, non capisco come una persona che mi conosce da meno di un mese riesca a fare “triangolazioni” inopportune con tale leggerezza dando per scontato il mo atteggiamento inoffensivo.
So di non dimostrare gli atteggiamenti tipicamente isterici e tipicamente accettati. So di nascondermi a volte dietro le battute o di perdere il momento giusto, ma chi non lo fa? E soprattutto perché il mio interlocutore non mi da’ una seconda chance, ma sbotta subito in un “dovresti essere più sicura”?
Il disagio vero scatta quando scopro che gli altri leggono questa mia vulnerabilità e la usino come pretesto per allontanarsi o non avvicinarsi, costruendo dei rapporti che ogni cazzo di volta sono la parodia mal riuscita di un manga. Due persone piantate lì a sorridersi con gli occhi senza che nulla accada, mai.
E poi un epilogo parallelo a tutto questo: "Ti ho cancellato, perchè con te non si parla mai di niente, perchè dici di essere online e invece sei a spasso. E adesso buonanotte". Quanto odio e vertigine ogni volta che ripenso a questo. Ogni gesto e respiro di autocontrollo si rivelano inutili. Scelgo allora di essere deliberatamente triste anche se so che non è il modo ideale per affrontare le situazioni. Provo a cercare un orientamento vagando con la mente alla ricerca del giusto flusso di pensieri che mi conduca ad una via di uscita, dove le sfighe quotidiane non rappresentano presagi funesti, ma piccoli intoppi che non hanno la forza di cambiarmi. Ora come ora mi stupisco della purezza del mio disgusto.
posted by milo @ 2:32 PM
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---{ domenica, aprile 27, 2008 }---
Non avere nessuno su cui contare e piangere.
Andate affanculo un po' tutti: la vostra inutilità che diviene tragedia da raccontarmi, la mia che non può diventarlo.
posted by milo @ 1:42 AM
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---{ giovedì, aprile 17, 2008 }---
appunti di sopravvivenza credibili e veritieri poiché non autofabbricati, ma ricevuti: se una freccia punta verso l'esterno, se manda i propri influssi verso direzioni perdute che non mi appartengono, non devo tentare di afferrarla per indirizzarla contro di me. Soprattutto quando questa freccia ha il pericoloso nome di Senso Di Colpa.
posted by milo @ 9:05 PM
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---{ venerdì, aprile 04, 2008 }---
I bioritmi esistono e si fanno ricordare. quando passo nottate a rigirarmi nel letto finchè il lenzuolo sotto si sfila e si appallottola ad altezza reni e le alterno a mattinate in cui mi sembra che non ho bisogno di alcun guizzo relazionale da parte di alcuno, qualcosa vorrà pur significare.
anche decidere di costruire l'ennesimo post a sfondo prettamente personale è questione di bioritmi. non che le mie giornate siano vuote: attività ne faccio - anche se prendere come riferimento la media di consumi culturali italiani non è un buon indicatore per sentirsi soddisfatti con se stessi -, ma ho bisogno di fermarmi, mentalmente, ogni trenta secondi a autolegittimarmi, a sancire la mia utilità rispetto allo scorrere placido della giornata.
il rincoglionimento infine si rende palese agli occhi di tutti, quando mi ritrovo più volte nei miei stati di quiete a riassumere questa generica inquietudine in un bisogno unico e specifico. e ridicolo. ho bisogno di schiaffetti continui che mi impediscano di guardare in basso. dovrebbero essere accompagnati da una vocina rassicurante: "Vai bene così, sei normale."
La vocina ogni tanto dovrebbe interrompersi in pause ad hoc per infondere sicurezza e dovrebbe riprendere in tono sornione: "E quando cessi di essere normale è perchè inizi ad essere interessante."
Dovrebbe, per ora non lo fa.
posted by milo @ 1:04 PM
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---{ mercoledì, luglio 11, 2007 }---
Calibrazione Ricalco Guida
buf
posted by milo @ 1:41 PM
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---{ venerdì, giugno 15, 2007 }---
che palle questo gap generazionale fra me e i miei coetanei. regredisco con gioia.
posted by milo @ 12:59 PM
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---{ giovedì, maggio 31, 2007 }---
Ok funziona così. Ieri passeggiavo nel giardino buio con una birra da bere in fretta per farmi coraggio in una mano e nell'altra un cellulare che si è rivelato inutile. Guardavo la notte asciutta. Lasciarmi in solitudine a far i girare pensieri non è mai un bell'affare. Tranne quando penso alla musica; mentre guardo il sole e l'inquadratura si allarga fino a comprendere tutti i campi e le colline.
Oggi apro una raccolta di racconti e ci trovo una dedica dimenticata. Stanca e raffazzonata già nel 2002. Non posso farci nulla, è arido e sarà sempre così, devo imparare solo ad accorgermene il più tardi possibile.
posted by milo @ 12:25 AM
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---{ sabato, maggio 19, 2007 }---
Lo sapevi che andava a finire così. Dio mio straccione schifoso.
Ugly Betty è pessimo. A questo punto meglio i Power Rangers, almeno non indovino la trama.
Noi siamo i Concrete da Roma buon divertimento
posted by milo @ 11:25 AM
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---{ giovedì, aprile 19, 2007 }---
il mio futuro = LOL la mia vita = LOL
posted by milo @ 9:57 PM
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---{ sabato, aprile 14, 2007 }---
prima notte dopo tanto tempo in cui riesco a finire un libro. rifletto sugli incontri. Su quanto sono abile a far scivolare via i fatti che non hanno riscontro. forse la vita mi ha insegnato ad ottimizzare, a lasciar stare, a non perdersi nei labirinti. sto spuntando le voci di un elenco, in modo indolore. lo faccio senza drammi, procedendo per la mia strada. gli incontri mi sfiorano appena, sono capace di viverli con intensità, mi rincuoro del fatto che saprò superare il sentimento del distacco. sarebbe così patetico se fossi io, ancora una volta, a chiedere, a guidare, a pensare, a perdere. sto sfruttando questo mio lato di possibile anafettività: sono in grado di dimenticare le persone, persino gli aspetti somatici. anzi , quelli son i primia venire cancellati.
posted by milo @ 3:21 PM
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---{ giovedì, aprile 05, 2007 }---
diocan, gli archivi. brutti si, ma volevo decidere io quando cancellarli
posted by milo @ 8:35 PM
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---{ sabato, febbraio 24, 2007 }---
30 00:01:21,867 --> 00:01:23,230 Look at the cake I got you.
31 00:01:23,295 --> 00:01:24,770 It was half price.
32 00:01:24,897 --> 00:01:26,033 Who's "Gary"?
33 00:01:26,257 --> 00:01:28,711 Some guy at the Department of Water and Power who was standing
34 00:01:28,768 --> 00:01:30,150 in some water when he touched some power.
35 00:01:30,208 --> 00:01:32,690 He's going to be fine, but they postponed the retirement party.
36 00:01:32,748 --> 00:01:33,570 We're invited.
posted by milo @ 9:54 PM
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---{ sabato, febbraio 10, 2007 }---
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concrete veins and fast food chains stretch out on purgatory's plains they are ruins still in tact they are apathetic shrines they are soul sucking traps under the weight of information machines and fabrications we crippled in mutation we are bound to desperation billboards hang above gentrified graves as funeral hymns float from the radio waves down on the street sleep walking in the night prisoners wither under neon lights the patrons of starvation fall into formation collapsing in stagnation seeking synthesized salvation trembling in the venom air with atoms splitting in our ears the hollow kings expected horses hoofs and now the silence sounds like hell (fractured frames cannot confine us) (empty names cannot define us) sky stabbing witching spires tangle their prey in communication wires in the modern zoo denying their wills on the brink of extinction and buried in bills a catastrophic congregation built on failed foundations obsessed with domination destined for disintegration looking on from this awkward view I feel helplessly sick and idealistically construed writing manifestos in invisible ink torn and formed on the missing link the drums of liberation will rise in orchestration and the fuel of transformation will ignite from devastation Spiare da una serratura le canzoni degli altri, per chiedersi se nascondono un filo rosso di passate convenzioni. Chiedersi se una faccia così possa ispirare nostalgia. Essere inutili e equilibrati da soli, privi di uno specchio interiore. Essere in grado di prendere posto nel proprio cubicolo relazionale solo se invitati da altri. La fiera dell'ovvio: le continue conferme.
posted by milo @ 1:44 AM
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---{ mercoledì, febbraio 07, 2007 }---
(23:34) [P] pero' un giorno....mi spiegherai com e' che sei diventata amica della confindustria (23:34) [P] guarda che so tutto!! [G] di ferruccio? [G] detto uccy? (23:34) [P] pensavi di farla franca! (23:34) [P] esatto! (23:34) [P] :-) (23:35) [P] ruffiana! [G] ehe [G] già bene che mi parli ancora , vah (23:37) [P] che giorno e' che vado a cercarlo in biblio? [G] 19 [G] ma è da ridere però :) (23:38) [P] no cmq e' stupendo... [G] ma è stata una tantum, su.. (23:38) [P] fa davvero ridere [G] uff (23:38) [P] uno si immagina un 50enne manager di forza italia [G] graZZie (23:39) [P] :-) [G] e invece è una che passa la notte sul mulo a cercare il film dei minutemen [G] o american hardcore (23:39) [P] grande!! [G] (e non ti dico cosa viene fuori con tale termini di ricerca)
posted by milo @ 11:58 AM
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---{ sabato, dicembre 23, 2006 }---
Alle due e ventidue ho provato a restituire al mittente un suo dono di due settimane fa. L'ho prelevato dal regno dei ricordi, l'ho coccolato per pochi istanti, l'ho confezionato in una nuova veste in modo che il significato originale del contenuto riemergesse con forza - almeno pensavo così - e l'ho consegnato con sentimento di attesa e di angoscia. Ora voglio cancellare il mio gesto, voglio che le cose riacquistino la giusta collocazione perchè non sono in grado di capire se il mio/suo dono è stato accettato. Fottuto mittente che ora mi costringe ad ascoltare ore e ore di Jawbreaker per accrescere nel minore tempo possibile il mio magone interno a livelli talmente alti da essere ridicoli. Ci sarà un momento in cui tutto si sgonfierà come un soufflè, anche la mia vita.
posted by milo @ 8:52 PM
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---{ domenica, novembre 19, 2006 }---
povere queste pagine. appena finisco questo marasma, appena le condizioni necessarie si realizzano, appena le condizioni sufficienti si spera facciano capolino, ritorno a riversare pensieri
sotto il culo della rana in fondo ad una miniera di carbone non so se andrà tutto bene
posted by milo @ 10:29 PM
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---{ giovedì, agosto 31, 2006 }---
eccolo! ziocan!
Whathasbeen presents
SHAGOO SHAGOO FEST 2006 quarta edizione 9 E 10 SETTEMBRE 2006, BAGNARIA ARSA (UD) ALL'EX TIRO A VOLO DUE GIORNI DI TOFU, HOMMOUS E MUSICA INDIPENDENTE
SABATO 9 SETTEMBRE suoneranno
khere - good news - arezzo - http://www.myspace.com/khere fine before you came - lap dance - milano - http://www.myspace.com/finebeforeyoucamerock trabant - trst tnt - trieste - http://www.myspace.com/trabant common cold - tumiec and go records - udine - http://www.myspace.com/3commoncold lonely drifter karen - gentle folk - svezia - http://www.myspace.com/lonelydrifterkaren winter beach disco - dance til you drop - viterbo - http://www.myspace.com/winterbeachdisco
DOMENICA 10 SETTEMBRE suoneranno
ornaments - piano forte fortissimo - modena - http://www.myspace.com/ornaments ten thousand bees - knifeville pop theory - pordenone - http://www.myspace.com/tenthousandbees afraid! - murder city electropunx - verona - http://www.myspace.com/terwilliker mr bizzarro & the highway experience - rnr mofos - treviso - http://www.mrbizarro.too.it/ deuxième sexe - sonic youth fans club - udine - http://www.myspace.com/deuxiemesexe exit failure - mtv most wanted - udine - [np] elodea - giù nel pozzo core - slovenia - http://www.myspace.com/theelodea red worms' farm - post rock all'avanguardia - padova - http://www.myspace.com/halleynation
con gli intermezzi acustici di
inner glory - a cup of tears - venezia - http://myspace.com/innerglory abba zabba -acoustic surprise- trieste - http://citymusic.it/modules.php?op=modl … amp;id=146 pido - un uomo e la sua drum machine - venezia - [np]
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COME ARRIVARE ALLO SHAGOO SHAGOO: Autostrada A4 uscita Palmanova(udine). Al semaforo dopo il casello girate a destra,poi dritti, poi al secondo semaforo girate a destra verso Bagnaria.. Arrivate fino allo stop della piazza centrale di Bagnaria. Destra di nuovo. Non seguite la strada principale, ma girate subito a destra in una strada sterrata. Passate un passaggio a livello incustodito e proseguite paralleli all'autostrada.
è più o meno a 10 minuti dall'uscita dell'autostrada.
Info: info@whathasbeen.com
Camping nel verde.beerrah.cibo buono e vegan. distro benvenute. concerti al chiuso in caso di pioggia, non preoccupatevi. Ingresso: un giorno 5 euro //due giorni 8 euro. Inizio concerti ore 17
Passaparola e accorri numeroso. tu proprio tu. Stay tuned on http://www.myspace.com/shagooshagoofest
posted by milo @ 1:03 AM
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---{ sabato, agosto 26, 2006 }---
Shagoo Shagoo fest 4
9 e 10 settembre 2006 a Bagnaria Arsa, Udine all'ex-tiro a volo
lo shagoo c'è anche quest'anno, eh. per la scaletta definitiva pazientate, tanto lo sapete già che i gruppi son fiki. chiedete a chi ci è già stato. posto verde per campeggiare, bella gente.
intanto scrivo i gruppi che hanno già suonato nelle scorse edizioni così potete giocare ad indovinare chi suonerà quest'anno.
Dunque, alle diverse edizioni dello Shagooshagoo Fest hanno suonato:
SHAGOOSHAGOO FEST 3 bagnaria arsa (ud) : AGATHA BIG MEMBER DER LEONE HAS SEPT CABECAS INFERNO INNER GLORY LAGHETTO LA QUIETE OTTAVE SANTAFIORA SETTLEFISH SLOWMOTION APOCALYPSE THE DEATH OF ANNA KARINA TRENI ALL'ALBA VANILLA RESIDENT YAUSLEG
SHAGOOSHAGOO FEST 2 osoppo (ud) : ALTRO FOR THE CAUSE HUMIDITY STAYER A FLOWER COLLAPSED AS A COMMODORE ENIAC EX OTAGO ISOBEL MEMENTO MORI NEIL ON IMPRESSION PRIMADELLAPIOGGIA SIXTOYS SOGNI VERTICALI SUPER ELASTIC BUBBLE PLASTIC THE FOG IN THE SHELL STOP THE WEEL CHANG FFOS DISQUIETED BY HODGE PODGE LEFTY LUCY MONROE NO.I.O.C. OSWALD RYDELLS SOTTOMAYOR STEVE NARDINI THE WET FINGER OPERATION
SHAGOOSHAGOO FEST 1 osoppo (ud) : DISCODRIVE WELCH OLIVER LOUIS CYPHRE RAEIN THIS MEMORY OF YOU ARSEN THE INFARTO, SCHEISSE! SUPERLUCERTOLAS G.I. JOE GARGANTHA THE SUICIDE CLUB SPACCIATORI DI MUSICA STUPEFACENTE THE ZEUS EGO LE COURBUSIER GELOSO UP TODAY SEPTEMBER10TH NONNO BASTARD
grazie per la vostra pazienza shagooshagoofest
posted by milo @ 3:45 PM
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---{ venerdì, agosto 18, 2006 }---
Babel zoo:
Venti anni fa, la sera un amico stava camminando vicino E lo ho arrestato sulla via per chiedergli Come è andato e tutti era grida Lo ho osservato nella faccia, ma non potrei vedere oltre i suoi occhi Gli è chiesto che cosa il problema era, dice che "qui la vostra travestimento"
Ora appena sta ottenendo sopra esso Appena ottenendo usato ad ottenere vicino
Vecchio possa indica dalle piste della ferrovia Non ha ottenuto carta in sua tasca, non ottenuta carta su suo indietro Gli ho chiesto che che cosa il tempo era, ora dice "il colpo la strada, Jack" È andato di nuovo a lo vedono la settimana prossima È morto di un attacco di cuore ed è morto via
Ora appena sta ottenendo sopra esso Appena ottenendo usato ad ottenere vicino
Grandma, ha ottenuto ammalata, lei sta andando morire Ed il grandpa ha avuto un grippaggio, ha entrato in una cellula dell'hotel ed è morto via I miei genitori, si domandano appena quando entrambi stanno andando morire E che cosa faccio quando muoiono?
Ora appena sto ottenendo sopra esso Appena ottenendo usato ad ottenere vicino
posted by milo @ 8:47 PM
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---{ lunedì, luglio 10, 2006 }---
Stimati colleghi di master, voi aspiranti white collars da 500 euro al mese, spensierate casalighe ortoressiche e professoroni in genere,
"piuttosto che" è sinonimo del fottutissimo e semplicissimo "invece". Chi caz vi ha messo in testa che "piuttosto che" equivale a "oppure"? Vi sentite tanto fighi ad usarlo in cotal senso con cotal frequenza?
Una Uzi piuttosto che una P38.
posted by milo @ 5:43 PM
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---{ venerdì, giugno 23, 2006 }---
P a t u r ni e. R e pri s e. La post adolescenza mi sta cadendo addosso. c'è gente che ha iniziato ad impiccarsi, solo per aver pensato di essere in questo medesimo stato. c'è gente che non riesce ad immaginarsi le fantasmagoriche conseguenze dell'utilitarismo delle relazioni, come riesco a farlo io. alcuni non leggono un libro da 15 anni, escludendo il Codice Da Vinci. altri sfruttano la propria aura di declino per sembrare maturi e immuni dall'autoironia. altri ancora procedono nella loro vita senza capire che per gli interlocutori sono prolissi, tracotanti, superficiali, lamentosi e dannatamente rompiballe. Talmente rompiballe da chiedere al barista di piazzare il proprio Cucciolone sopra la macchina del caffè perchè è troppo gelato. In quanto gelato. Il sole è troppo sole e il panino è troppo panino. Questi sono i più bravi perchè non si rendono conto dei pericoli dell'isolamento sociale, perchè tanto alla fine li subisco io. ma ci sarà qualcuno che mi sopporterà autenticamente? magari gareggiando in frecciatine, critiche, rebus, sciarade e risate a denti stretti. la ricetta del'ammmmore.
posted by milo @ 10:47 PM
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---{ martedì, maggio 23, 2006 }---
P a t u r n i e. La lacrima rimane all'angolo dell'occhio sospesa insieme ai pensieri brillanti. La sensazione di non sapere fare altro che lavori manuali, la sensazione di non essere capace di adattarmi a questo mondo di stretegie e d obiettivi, di creatività manageriale diviene man mano più forte . E ascoltare Accident Prone riporta queste angosce ad una fase antica , quando scribacchiare sulla scrivania portava ancora conforto.
In questo momento non so neanche fare un bilancio di quello che mi sta succedendo: sto provando disperatamente a catturare stimoli, a rendermi intellettualmente scattante, a scrivere cose concrete, ma più mi impegno più il risultato è deludente.
E la mia vita continua ad essere fintamente interessante, fintamente volta ad uno scopo.
La lacrima al lato dell'occhio esiste perchè esistono le urla a squarciagola mentre guido, perchè nessuno è interessato a me, perchè non riesco ad inquadrare il mio aspetto in una categoria poco problematica come il "mediamente carino". Per fortuna che gli amici ci sono e mi aiutano a sopportarmi.
Provo ad elaborare razionalmente questa differenza di stato d'animo, differenza dalla scorsa estate; ne ripercorro le unità minime di felicità legate a telefonate programmate, quando ogni parola era accompagnata da larghi sorrisi.
Ognuno ritiene che il proprio stato d'animo sia più profondo ed originale di quello altrui. Anch'io ogni tanto ne sento la tentazione, specie quando devo incasellare per bene e archiviare razionalmente la tipologia del mio pessimismo che oggi rimane qualcosa di veramente inclassificabile nel suo mix di cinismo, bassissima autostima, conoscenza dei fatti obiettivi che suffragano il tutto.
Oggi ho ascoltato moltissima musica, suonato, studiato, con la sensazione di non essere in grado di ricordare più nulla. La serata sta passando e io sto cercando in tutti i modi di toccare il fondo dei miei pensieri, fino a renderli ridicoli ai miei stessi occhi. E invece rimango nel limbo facendo passare più di 5 minuti fra una frase e l'altra, imbambolate non si sa bene su cosa. Su chi. Su cosa. Mi spengo. La lacrima non vuole scendere, neanche l'idea brillante. Rimangono entrambe incollate al cervello, ammesso che ne abbia mai avuto uno.
posted by milo @ 1:31 AM
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